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Calibro 9 – il sequel sbagliato

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Quasi 50 anni dopo arriva il sequel del poliziottesco “Milano calibro 9”, all’epoca grande successo al botteghino, punta di diamante nella filmografia del regista Fernando Di Leo e oggi considerato una pietra miliare del genere, genere che oltre oceano Quentin Tarantino ha ripreso e svecchiato pur mantenendone le specifiche: personaggi grotteschi e sopra le righe, situazioni al limite, e storia dinamica senza troppe chiacchiere esistenziali, mentre di suo gusto ci ha aggiunto lo splatter facendone un personale marchio di fabbrica. Si prendono la briga di realizzare questo sequel il figlio dell’allora produttore Ermanno Curti, Gianluca Curti a sua volta produttore e sceneggiatore, e il regista sceneggiatore Toni D’Angelo figlio del cantante neomelodico per eccellenza Nino D’Angelo. I due hanno già collaborato nel 2017 realizzando “Falchi” un ottimo noir napoletano, con uno spirito più affine ai poliziotteschi di quanto lo sia questo sequel. Alla notizia i nostalgici esultano e viene anche rilasciata una prima locandina in cui insieme ai due nuovi protagonisti Marco Bocci (il personaggio è chiamato Fernando in onore al regista Di Leo) e Ksenia Rappaport ritroviamo due nomi del vecchio cast, Mario Adorf (90 anni) e Barbara Bouchet (78 anni), unici sopravvissuti come personaggi e anche come persone nella vita reale. Ma qualcosa va storto con Mario Adorf – problemi di salute? – e viene sostituito in corsa dal 75enne Miche Placido, e a Mario Adorf rimane l’omaggio nei titoli che riprende fotogrammi dell’originale.

La locandina “coming soon”

A vedere uno di seguito all’altro i due film, all’inizio se ne apprezzano subito i rimandi anche se, come è giusto e necessario, il nuovo film deve essere comprensibile anche a chi non ha memoria del primo: si tratta di dettagli che solo i cultori possono riconoscere e apprezzare. In apertura del classico un malloppo di centomila dollari passava di mano in mano per essere consegnato al capo di un’organizzazione criminale detto l’Americano, ma di mano in mano il malloppo si perde per strada e conseguentemente tutti i corrieri vengono ammazzati nella ricerca del colpevole. Nel moderno non c’è più un malloppo perché la valuta, stavolta sono cento milioni di euro, è dematerializzata e viaggia in digitale su diversi server europei e di nuovo, quando il malloppo digitale sparisce, tutti i responsabili dei vari trasferimenti vengono giustiziati nei vari scenari europei, quasi come se fossimo in un film di 007, ma ci sta perché il richiamo all’originale è compiuto guardando all’oggi. Altri rimandi: uno dei personaggi che esce dalla metropolitana sulla piazza del duomo e un altro dal carcere, e nel finale il primo piano su una cicca di sigaretta. Poi il film, pretendendo di dover piacere ai giovani spettatori di oggi secondo le dichiarazioni degli autori, perde lo stile del poliziottesco – che forse i giovani d’oggi avrebbero pure apprezzato – e diventa un noir che alterna le scene di azione, ben realizzate, a improvvidi momenti di sentimentalismo introspettivo che avviano il film verso il genere televisivo, e non è un caso che la Rai produce. Laddove il personaggio di Gastone Moschin si distingueva da tutti per la sua laconicità, qui, quello che viene raccontato come suo figlio, è solo uno dei tanti, perno della storia come fu il padre, certo, ma troppo chiacchierone e troppo raccontato, in un film che spiega troppe cose togliendoci il piacere di decrittare i personaggi, come accadrebbe in un vero noir; e l’interprete Marco Bocci sembra più a suo agio quando fa il romanticone che l’uomo in azione. Anche il poliziotto che indaga, ruolo che è andato ad Alessio Boni, mantiene dello spirito dei poliziotteschi il carattere di cane sciolto, ma quanto ce ne può importare che sia separato e stia lottando per l’affidamento condiviso del figlio? è un noir o una puntata di CentoVetrine?

la locandina definitiva che mette Marco Bocci in primo piano e toglie di mezzo tutti gli altri

Nel cast salta subito all’occhio, e infastidisce purtroppo, la russa Ksenia Rappaport che Giuseppe Tornatore ha importato nel 2006 per il film “La sconosciuta” col quale ha vinto il David di Donatello come protagonista, e da allora italianizzata con successo; e per quando bene possa ormai parlare la nostra lingua le rimane quel vago accento esotico che la rende aliena al personaggio che interpreta: l’esponente ripulita di una famiglia mafiosa calabrese, della ‘ndrangheta; viene inserita al volo una battuta per giustificare l’accento russo ma non basta a farci accettare la scelta di inserire nel cast e in quel ruolo questa pur brava attrice.

‘Ndrangheta calabrese dicevamo, quando nell’originale il personaggio di Rocco Musco, interpretato da Mario Adorf e doppiato da Stefano Satta Flores parlava in sicilianese, ma vabbè una famiglia mafiosa vale l’altra. L’anziano boss in clandestinità ha il volto segnato e ormai assimilato a questo genere di ruoli di Adriano Chiaramida, livornese di nascita ma siculo-calabrese cinematograficamente. Il capintesta assai aggressivo e il calabrese doc Paco Reconti mentre il conterraneo Walter Cordopatri è un killer assai violento e divertente, forse l’unico personaggio che rispetta i canoni del poliziottesco, perché continua ad ammazzare – con grandi schizzi di sangue in un omaggio di ritorno a Tarantino – chiedendo rabbioso alle vittime: “Und’è ‘a pila?”, dove sono i soldi?, che è praticamente la sua unica battuta che diventa un leitmotiv. Antonio Zavatteri è l’inevitabile magistrato corrotto, mentre si potevano pure evitare nel cast la francese Jessica Cressy, già vista nel premiato a Venezia “Martin Eden” e il belga Éric Godon, probabilmente come specchietti per le allodole per il mercato d’oltralpe, assieme a un paio di russi come manovalanza mafiosa per il mercato sovietico dove Ksenia Rappaport conserva frequentazioni.

Restano poche parole sui sopravvissuti a cominciare dall’originale Barbara Bouchet, che nel 2008 ha ricevuto un riconoscimento alla carriera ad Alghero, e che qui riprende il suo personaggio che avevamo lasciato alla fine dell’originale mentre si prendeva in faccia uno dei più bei pugni del cinema in soggettiva da parte del Rocco Musco di Mario Adorf e che oggi se la deve vedere col Rocco Musco di Michele Placido e non le andrà altrettanto bene ma, altro tradimento al poliziottesco, tutto è bene quel che finisce bene. Michele Placido si diverte a riprendere un personaggio divenuto iconico e laddove la sceneggiatura non gli offre molta ciccia da masticare lui gigioneggia facendo la faccia cattiva ma restando simpatico.

In conclusione un suggerimento a produttori e registi: state lontani dai sequel, soprattutto se sono passati decenni, come nel caso di “Blade Runner 2049″, perché quando non è un sequel inutile è sicuramente sbagliato e fuori rotta: “Milano calibro 9” rimane un brillante esempio di poliziottesco mentre questo “Calibro 9” è solo un film televisivo e neanche dei migliori.