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Dogman, un canaro d’autore

Gran film. Un film potente, di grande impatto visivo, stilistico, tematico, interpretativo. Matteo Garrone, torna a crescere nel suo tratto specifico, quello della “frontiera umana” immersa nel degrado fisico e morale.

Dopo tre film poco visti, due dei quali raccontano l’immigrazione e le frontiere estreme dell’umanità, arriva al successo di critica e pubblico nel 2002 con “L’imbalsamatore” premiato con David di Donatello, Nastro d’Argento e Globo d’Oro anche al protagonista nano Ernesto Mahieux. Segue “Primo Amore”, altro film con personaggi e tematiche “di confine”, altri premi, soprattutto alla colonna sonora della Banda Osiris e alla protagonista Michela Cescon. Il 2008 è l’anno di “Gomorra” da Roberto Saviano ed è successo planetario e pioggia di premi. Da ricordare che a Cannes vince il Gran Premio della Giuria in contemporanea a Paolo Sorrentino che con “Il Divo” vince il Premio della Giuria. Anno glorioso per il cinema italiano ma i due registi non si amano e vivono male il peso della competizione. Impiega quattro anni per realizzare il film successivo, “Reality”, sempre restando nell’ambito di questo suo mondo popolato di “mostri” inconsapevoli e ineluttabili, si ispira alla vicenda reale di suo cognato pescivendolo che voleva diventare una star dei reality, stavolta con un tono scanzonato da commedia, da carrozzone di circo di provincia. Il pubblico si allontana ma i premi continuano ad arrivare. Segue il suo gran film internazionale girato in lingua inglese e per il quale si è anche ipotecato la casa, un film che senza abbandonare la sua tematica degli esseri umani visti come mostri, stavolta si ispira al classico “Lo Cunto de li Cunti” di Giambattista Basile: “Il Racconto dei Racconti” che stavolta a Cannes, dove ormai è di casa, raccoglie tiepidi consensi alla proiezione per la stampa, vince solo per la sceneggiatura. Il film è visionario e grandioso ma qualcosa non funziona e nelle sale cinematografiche si sente il disagio.

E arriviamo a “Dogman” che trionfa a Cannes con l’interpretazione maschile di Marcello Fonte, il “canaro” che si ispira al “canaro della Magliana”, protagonista di un cruento fatto di cronaca nel 1988. Garrone, mantenendo l’ispirazione, rinnova il personaggio, un omarino dalla voce chioccia che chiama “amore” anche i molossi che abbaiano rabbiosi, incapace di odio e rancori, rendendolo più tragicamente poetico nella fatiscenza fisica e morale in cui vive: siamo di nuovo in pieno nel “mondo” di Garrone e il film, crudo violento e anche disturbante, avrà vita lunga anche all’estero. Da non sottovalutare la performance del coprotagonista Edoardo Pesce irriconoscibile sotto il pesante trucco prostetico che lo trasforma in un pugile suonato, nemesi del povero canaro.

Curiosità: il film ha vinto a Cannes anche la Dog Palm per l’intero cast canino e c’è un secondo film in uscita, “Rabbia furiosa – er canaro” di Sergio Stivaletti che dovrà fare i conti con Matteo Garrone: perché farsi del male così gratuitamente?