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Martin Eden, napoletano verace

La mia prima domanda è stata: perché ambientare un romanzo americano a Napoli? ma non avevo ancora visto il film. “Martin Eden” che Jack London ha pubblicato nei primi del ‘900, è un “romanzo di formazione” con qualcosa in più: l’impegno politico e sociale che trasforma il febbricitante eroe affamato di successo e riscatto sociale, ma anche affetto da egocentrismo e arroganza, in antieroe, e la crescita diventa degenerazione. E’ un romanzo molto letto in Italia e nel 1979 abbiamo avuto una serie tv Rai diretta da Giacomo Battiato.

Il regista Pietro Marcello, che ha scritto il film con Maurizio Braucci, ne fa un’opera totalmente sua e totalmente napoletana e nella raffinatissima sceneggiatura si sentono la totale adesione alla storia ma anche la passione personale che riesce a trasformare una storia americana in qualcos’altro, un qualcos’altro che non è soltanto napoletanità ma una differente universalità.

Il regista ha studiato da pittore ma poi comincia a girare documentari e cortometraggi in cui racconta la sua Napoli, ed è questo il terreno su cui si innesta il seme del suo Martin Eden napoletano. Passando dalla realtà sociale americana con le lotte di classe e il socialismo come male assoluto, ci ritroviamo in una Napoli fuori dal tempo, sospesa, con le stesse lotte di classe inizio Novecento ma girando fra i vicoli siamo anche nella Napoli neorealista degli anni Cinquanta mentre da lì a poco, su una spiaggia, si rilassano le camicie nere del Ventennio. Alle immagini di questa Napoli atemporale con una fotografia attenta ai colori e alla grana dell’immagine, si mischiano vecchi filmati di repertorio altrettanto mirabilmente colorati, per generare un caleidoscopio magico che incanta per maestria e ricchezza di spunti. E la scrittura va oltre Jack London e completa gli irruenti monologhi che il Martin Eden americano solo accennava.

Curiosa ma comprensibile la scelta di mantenere il nome americano per il napoletanissimo protagonista, in linea con tutte le scelte coraggiose e vincenti della riscrittura. E a questo punto non sorprende che solo un altro personaggio mantenga il nome originale: il socialista e anarchico Russ Brissenden che si fa mentore del protagonista e che qui trova l’interprete ideale in un sempre più stazzonato Carlo Cecchi che, nota a margine, come regista aveva diretto a teatro il protagonista Luca Marinelli nello scespiriano “Sogno di una Notte d’Estate”.

Grande e ispirante amore di Martin è una bella ragazza, educata e forbita, nella cui famiglia alto-borghese e sedicente liberale, irrompe il protagonista che, benché divenuto scrittore di successo e non più ignorante marinaio dal cuore d’oro, resta un “corpo estraneo” non assimilabile prima e che non si lascia assimilare poi. In questo ruolo c’è la deliziosa francese Jessica Cressy che, benché parlando un ottimo italiano (parla 6 lingue) resta lei pure un “corpo estraneo” nell’altrimenti ben riuscito amalgama del film: fra tutte le “libertà” stilistiche che si fanno calligrafia dell’opera, il suo accento e le frasi francesi buttate qua e là stonano sempre e non hanno dignità narrativa nel raccontare questa personaggio: è il pedaggio da pagare al compromesso della coproduzione con la Francia, che mette altri francesi nel cast tecnico. In passato queste insalate si risolvevano doppiando gli stranieri ma molte battaglie dei sindacati attori hanno portato a questo giusto compromesso: l’interprete straniero deve recitare in italiano, così come viene chiesto agli italiani che recitano all’estero. in altre occasioni, altri film e altre produzioni, l’integrazione dell’attore straniero è riuscita meglio ma qui purtroppo risulta come unico punto debole perché senza giustificazioni narrative.

La ricchezza narrativa di questo film è, però, anche nel corale degli interpreti, molti di provenienza teatrale, e nelle facce delle comparse che si fanno punteggiatura del racconto. Accanto al meritatamente premiato con la Coppa Volpi a Venezia Luca Marinelli e al vecchio teatrante che recita sempre in souplesse Carlo Cecchi, c’è dunque anche Jessica Cressy che fa bene nel suo contesto, ma soprattutto ci sono: fra i volti più noti il calabrese Marco Leonardi e il bergamasco Maurizio Donadoni che nei ruoli del cognato e dell’editore recitano nei loro dialetti; e poi per la borghese famiglia Alpi: Elisabetta Valgoi, Pietro Ragusa e Giustiniano Alpi; Denise Sardisco è la bella popolana Margherita, Autilia Ranieri la sorella di Martin, Carmen Pommella è la ricamatrice che lo ospita, Vincenzo Nemolato l’amico di sempre, Gaetano Bruno è il giudice Mattei e il giornalista Giordano Bruno Guerri nel cameo di un socialista.

Un film che certamente avrebbe meritato il Leone d’Oro (che è andato al “Joker” con Joaquin Phoenix e che aspettiamo senz’ansia) ma che certamente non chiude qua la vetrina in cui stipare i premi perché è un’opera che osa nel linguaggio cinematografico e stravince. Non per tutti: i pigri, gli ipercritici e quelli mentalmente chiusi stiano a casa a vedere le serie tv.