![https://image.tmdb.org/t/p/w500/5wJGNpg3WjRAO8W4Bmq0qrQw7Vd.jpg](https://image.tmdb.org/t/p/w500/5wJGNpg3WjRAO8W4Bmq0qrQw7Vd.jpg)
Se n’è andata a 93 anche Lina Wertmüller, ancora sulla cresta dell’onda nonostante la sua fama sia dovuta a non più di quattro film girati negli ormai lontani anni settanta. Quattro film che hanno segnato un’epoca e imposto uno stile unico, il suo, immediatamente riconoscibile, come accade per i grandi, Fellini tanto per dirne uno.
![](https://cinemamodomio.wordpress.com/wp-content/uploads/2021/12/720.jpeg?w=720)
Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braueich è nata a Roma da un avvocato potentino con antiche ascendenze nobiliari svizzere e si avvicina al mondo dello spettacolo grazie alla frequentazione di un’amica e compagna di scuola, Flora Carabella, figlia di un musicista, che poi si iscrisse all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica; anche Lina tentò quella strada ma essendo di due anni più piccola dell’amica, coi suoi 16 anni non si poté iscrivere e allora frequentò i corsi privati di Pietro Sharoff, un russo naturalizzato italiano che in patria era stato allievo di Mejerchol’d e aiuto regista di Stanislavskij, al cui metodo si ispirò come insegnante di recitazione a Roma. Flora Carabella, recitando in teatro nei “Sei personaggi in cerca d’autore” di Luigi Pirandello regia di Luchino Visconti, conobbe e sposò il collega Marcello Mastroianni, il quale divenendo presto un divo del cinema veicolò in Lina la passione per la settima arte (la più moderna dopo le classiche sei: architettura, musica, pittura, scultura, poesia e danza).
Prima di lavorare in teatro con Garinei e Giovannini da cui prende il gusto per la commedia, e con Giorgio De Lullo che la ispira sul piano drammatico, si era fatta le ossa come animatrice e regista nel teatro di burattini di Maria Signorelli, e anche se lei non ne farà cenno nelle interviste successive, questa esperienza segnerà a mio avviso il suo stile, perché utilizzerà i suoi interpreti proprio come marionette: i gesti, seppur minimi, devono essere precisi secondo la sua ferrea direzione, e partendo da un affettuoso “amore devi fa’ così” poi seguito da un più spazientito “amo’ t’avevo detto che devi fa’ così” finiva anche col picchiare e ferire i malcapitati: Luciano De Crescenzo sul set del televisivo “Sabato, domenica e lunedì” (1990) colpevole di agitare sempre il dito per aria, dovette correre in ospedale a farsi mettere tre punti perché Lina, dopo ripetute e inascoltate correzioni, glielo aveva morso a sangue.
![#love and anarchy di SLEEPY GOLDEN STORM](https://64.media.tumblr.com/896872abd90a9bf382b7bc5805a5e841/tumblr_pplyxp9jpJ1qgten1o4_500.gif)
Anche gli sguardi e i movimenti degli occhi devono essere precisi al millimetro nei suoi primissimi piani da proiettare in schermi di 15 metri di larghezza in media, e si metteva davanti agli interpreti indicando col suo dito dove e quando girare le pupille. Va da sé che dava anche le intonazioni e il ritmo delle battute, proprio come se gli esseri umani che dirigeva fossero pupazzi di legno a cui lei dava la sua voce, fermo restando che poi rifaceva tutto in doppiaggio, pratica assai abusata in quegli anni, dove si ricreava completamente il parlato del film. Doppiaggio che nel caso di questo “Film d’amore e d’anarchia” creò alla produzione non pochi problemi, arrivando a costare quasi quanto l’intero girato, perché le ragazze della casa di tolleranza provengono da tutte le regioni d’Italia e ne parlano tutti i dialetti.
![https://images.mubicdn.net/images/film/27616/cache-51092-1574841630/image-w1280.jpg?size=800x](https://images.mubicdn.net/images/film/27616/cache-51092-1574841630/image-w1280.jpg?size=800x)
Dopo l’exploit di Mimì Metallurgico, nel quale racconta il disagio della classe operaia, e col quale impose all’attenzione di critica e pubblico l’inedita coppia Giannini-Melato – quando i produttori avrebbero voluto imporle altri nomi ben più noti che lei sapeva di non poter dirigere secondo il suo tirannico metodo, con questo film ripropone la coppia vincente e fa un salto nell’immediato passato dell’Italia fascista ispirandosi a un fatto realmente accaduto: quello di un uomo venuto a Roma dalla provincia per uccidere Mussolini e che trascorre tre giorni in un casino, protetto accudito e coccolato dalle prostitute. Il film è drammatico ma il suo modo di trattare la materia, quello grottesco e divertito che sarà la sua cifra vincente, ne fa un’opera magistrale che entusiasma la critica e fa accorrere a frotte la gente a al cinema. Se già con Mimì aveva risvegliato l’attenzione di Hollywood con questo “Love and Anarchy” si guadagnò l’ammirazione incondizionata del severissimo critico John Simon e cominciarono ad arrivare le proposte da Hollywood.
![Love & Anarchy (1973) - IMDb](https://m.media-amazon.com/images/M/MV5BMTgwMDIyMjYwOV5BMl5BanBnXkFtZTYwMjU0NjI5._V1_.jpg)
Nel film le sue marionette diventano maschere da commedia dell’arte con tutte le tipologie dialettali del genere e le caratterizzazioni precise e senza le sfumature del naturalismo; le ragazze, come tristi Pierrot, sono pesantemente truccate di bianco (Lina metteva mano anche al trucco) e il protagonista, con la zazzera disordinata e decolorata in rosso, indossa un make-up (8 ore ogni seduta) che gli fa il volto una maschera piena di efelidi: una fantasia dell’autrice che disegna i suoi personaggi direttamente sugli interpreti, diversamente da quanto faceva Federico Fellini – per il quale era stata assistente in “La dolce vita” e “8 1/2” – che disegnava i suoi pupazzi su carta e poi li trasferiva nella fisicità e nella fisionomia degli attori.
Il film si conclude con una citazione dello scrittore anarchico Errico Malatesta: “Voglio ripetere il mio orrore per attentati che oltre a essere cattivi in sé sono stupidi perché nuocciono alla causa che dovrebbero servire… Ma quegli assassini sono anche dei santi e degli eroi… e saranno celebrati il giorno in cui si dimenticherà il fatto brutale per ricordare solo l’idea che li illuminò e il martirio che li rese sacri.” E vale la pena elencare il cast che con Giannini protagonista assoluto ha come coprotagoniste Mariangela Melato e la debuttante Lina Polito che giovanissima aveva recitato in teatro con Eduardo De Filippo. Eros Pagni tratteggia la maschera del facinoroso fascista e Pina Cei è la tenutaria del bordello. Elena Fiore, che abbiamo visto in “Mimì metallurgico” è la sguaiata cagna da guardia del casino, mentre alle signorine prestano volto e non sempre voce: Isa Danieli che tornerà più volte a lavorare con Lina, Anna Melato sorella di Mariangela, le giovanissime e irriconoscibili Enrica Bonaccorti e Anna Bonaiuto, e ancora Giuliana Calandra e Isa Bellini. Roberto Herlitzka in una sola scena dà vita a un ispettore di polizia fascista che tratteggia la filosofia del regime: cancellare dalla memoria collettiva gli oppositori del regime.
Nella filmografia di Lina seguirà “Tutto a posto e niente in ordine”, un film che torna al mondo operaio contemporaneo con un cast corale e col quale l’autrice prova ad affrancarsi dalla coppia Giannini-Melato ormai divenuta celeberrima, grazie a lei, e che singolarmente sono avviati in eccellenti carriere; il film non ebbe successo commerciale e posso testimoniare in prima persona, essendo all’epoca un giovane spettatore di Lina Wertmüller, che io stesso non andai a vedere il film perché non c’erano Giannini e Melato. Quello stesso anno, il 1974, torna nelle sale dirigendo di nuovo la coppia fatale in “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto” che sarà la punta di diamante dei quattro film che contano nella sua carriera. Concluderà questo quartetto fortunato “Pasqualino Settebellezze” col quale torna al passato e agli orrori del nazi-fascismo.
![](https://cloud10.todocoleccion.online/cine-fotos-postales/tc/2011/04/14/26123944.jpg)
A quel punto cede alle lusinghe di Hollywood e gira “La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia” con Giannini e Candice Bergen, un film sbagliato che rompe definitivamente l’incanto e la complicità fra l’autrice e il suo pubblico, e anche con Hollywood che non perdona gli insuccessi: io ero andato a vederlo perché era il primo film americano di Lina e anche perché c’era la bionda glaciale Candice Bergen che avevo ammirato in “Soldato Blu” e “Conoscenza Carnale”, 1970 e ’71. Lina non ne fa un dramma e continua imperterrita a lavorare, e tornata in Italia gira “Fatto di sangue fra due uomini…” nel quale coinvolge ancora una volta Giannini insieme ai divi di più lungo corso Marcello Mastroianni, suo amico personale a cui rinnovò il look aggiungendo una lunga barba, e Sophia Loren con la quale si scontrò subito proprio a causa del trucco: Lina voleva che il suo volto esprimesse la tragedia greca e, in fondo, sappiamo che voleva ridisegnare a suo modo la diva; la quale, ferma alla sua immagine di star internazionale con le sopracciglia ad ali di gabbiano, non voleva assolutamente che qualcuno le cambiasse i connotati: che erano la percezione di sé e insieme l’immagine con la quale il pubblico la percepiva da sempre: vinse Lina e in seguito lavorarono di nuovo insieme. Lei, la terribile regista sempre sorridente, è riuscita a creare intorno a sé una sua propria longeva mitologia senza mai più tornare, però, ai fulgori dei magici anni settanta; è passata alla regia di eccellenti film tv e poi alle regie d’opera grazie all’influenza e al gusto del marito scenografo, che ha curato tutti i suoi film, Enrico Job, che si legge iob e non giob all’inglese.
![Film d'amore e d'anarchia - Ovvero "Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza..." - Wikipedia](https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/4/4b/Filmdamoreedanarchia.png)
“Film d’amore e d’anarchia – Ovvero: Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza…” valse a Giannini il premio come migliore attore al Festival di Cannes; Grolla d’Oro alla migliore esordiente Lina Polito; Nastro d’Argento a Giannini e alla Polito; Mariangela Melato si dovette accontentare della candidatura ai New York Film Critics Circle Awards dove arrivò terza dietro alla vincitrice Joanne Woodward (“Summer Wishes, Winter Dreams” mai distribuito da noi) e alla seconda classificata Glenda Jackson (“Un tocco di classe”).
Nel 1977 Lina Wertmüller è stata la prima donna regista a essere candidata all’Oscar per il successivo “Pasqualino Settebellezze” in tre categorie: migliori regia sceneggiatura e film straniero, anche con Giannini candidato come miglior attore. Lina è così diventata per le giovani registe dell’epoca un’icona a cui ispirarsi, dato che è stata anche la prima ad avere un successo commerciale internazionale. “Non si può fare questo lavoro – dichiarerà lei – perché si è uomo o perché si è donna. Lo si fa perché si ha talento. Questa è l’unica cosa che conta per me e dovrebbe essere l’unico parametro con cui valutare a chi assegnare la regia di un film”. E’ stata anche la prima a far recitare en travesti Rita Pavone nel ruolo maschile del televisivo “Il giornalino di Gian Burrasca” ed era il 1964.
La cultura femminile o femminista oggi la indica come un’autrice che ha sempre posto attenzione alla condizione della donna, ma così non è, e io c’ero: Lina Wertmüller, nei suoi film di punta, con eccezione di “Travolti…” dove i ruoli uomo-donna sono assolutamente paritari, non si preoccupava di avere uno sguardo al femminile, tutt’altro; i suoi protagonisti sono stati i personaggi – Mimì, Tunin, Pasqualino – interpretati da Giancarlo Giannini, suo vero alter ego, e le donne erano solo coprotagoniste della vicenda; di fatto lei non si curava di essere femminile o maschile ma solo regista coniugata al maschile: “Il massimo della mia aspirazione – dirà – non era passare alla storia come un regista impegnato, io volevo passare alla storia come un regista che si è divertito.”
E’ più utile dire che ha indagato i ruoli dell’uomo e della donna nella nostra società e in diverse epoche, sempre nell’eterno dialogo tra il Nord e il Sud – lei che si è sempre considerata una donna del sud; e nel contrasto tra la borghesia e il proletariato, sempre guardando la politica e la società con ironia pungente e grottesca, senza mai prendersi sul serio, appunto, e divertendosi divertendoci. Nel 2020 le viene attribuito l’Oscar onorario con questa motivazione: “Per il suo provocatorio scardinare con coraggio le regole politiche e sociali attraverso la sua arma preferita: la cinepresa”.
E’ del 2015 il film documentario di Valerio Ruiz “Dietro gli occhiali bianchi”, visibile nel pacchetto Sky, in cui è raccontata da quanti l’hanno conosciuta e in cui lei stessa si racconta sempre col brio che l’ha contraddistinta, raccontandoci dei suoi occhiali bianchi: “Devo dire che ho sempre avuto una gran simpatia per gli occhiali… prima ce li avevo di tutti i colori: verdi giallo rossi, poi a un certo punto c’è stato un incontro fatale, quello con gli occhiali bianchi. Come succede negli incontri d’amore, uno non se l’aspetta quel segno del destino però quando càpita càpita!” E’ questo il creare la propria mitologia: io non credo affatto che una giovane donna, come un giovane uomo, potesse essere felice di dover portare gli occhiali e perciò averne una gran simpatia: ci si convive e si scende a compromessi, ci si piace così come si è. Poi lei continua spiegando che avendo trovato un modello che le piaceva particolarmente, dovendo sostituirlo e non trovandolo più nei negozi, si reca addirittura nella fabbrica che li produceva pensando di acquistarne una mezza dozzina, ma l’imprenditore le spiegò che l’ordine minimo era di 5000 pezzi e così Lina si rifornì dei suoi occhiali bianchi per tutta la vita. E anche oltre.
![https://www.amica.it/wp-content/uploads/2019/10/lina-wertmuller-oscar.jpg?v=863595](https://www.amica.it/wp-content/uploads/2019/10/lina-wertmuller-oscar.jpg?v=863595)