Archivi categoria: LINA WERTMULLER

Film d’amore e d’anarchia

https://image.tmdb.org/t/p/w500/5wJGNpg3WjRAO8W4Bmq0qrQw7Vd.jpg

Se n’è andata a 93 anche Lina Wertmüller, ancora sulla cresta dell’onda nonostante la sua fama sia dovuta a non più di quattro film girati negli ormai lontani anni settanta. Quattro film che hanno segnato un’epoca e imposto uno stile unico, il suo, immediatamente riconoscibile, come accade per i grandi, Fellini tanto per dirne uno.

Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braueich è nata a Roma da un avvocato potentino con antiche ascendenze nobiliari svizzere e si avvicina al mondo dello spettacolo grazie alla frequentazione di un’amica e compagna di scuola, Flora Carabella, figlia di un musicista, che poi si iscrisse all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica; anche Lina tentò quella strada ma essendo di due anni più piccola dell’amica, coi suoi 16 anni non si poté iscrivere e allora frequentò i corsi privati di Pietro Sharoff, un russo naturalizzato italiano che in patria era stato allievo di Mejerchol’d e aiuto regista di Stanislavskij, al cui metodo si ispirò come insegnante di recitazione a Roma. Flora Carabella, recitando in teatro nei “Sei personaggi in cerca d’autore” di Luigi Pirandello regia di Luchino Visconti, conobbe e sposò il collega Marcello Mastroianni, il quale divenendo presto un divo del cinema veicolò in Lina la passione per la settima arte (la più moderna dopo le classiche sei: architettura, musica, pittura, scultura, poesia e danza).

Prima di lavorare in teatro con Garinei e Giovannini da cui prende il gusto per la commedia, e con Giorgio De Lullo che la ispira sul piano drammatico, si era fatta le ossa come animatrice e regista nel teatro di burattini di Maria Signorelli, e anche se lei non ne farà cenno nelle interviste successive, questa esperienza segnerà a mio avviso il suo stile, perché utilizzerà i suoi interpreti proprio come marionette: i gesti, seppur minimi, devono essere precisi secondo la sua ferrea direzione, e partendo da un affettuoso “amore devi fa’ così” poi seguito da un più spazientito “amo’ t’avevo detto che devi fa’ così” finiva anche col picchiare e ferire i malcapitati: Luciano De Crescenzo sul set del televisivo “Sabato, domenica e lunedì” (1990) colpevole di agitare sempre il dito per aria, dovette correre in ospedale a farsi mettere tre punti perché Lina, dopo ripetute e inascoltate correzioni, glielo aveva morso a sangue.

#love and anarchy di SLEEPY GOLDEN STORM

Anche gli sguardi e i movimenti degli occhi devono essere precisi al millimetro nei suoi primissimi piani da proiettare in schermi di 15 metri di larghezza in media, e si metteva davanti agli interpreti indicando col suo dito dove e quando girare le pupille. Va da sé che dava anche le intonazioni e il ritmo delle battute, proprio come se gli esseri umani che dirigeva fossero pupazzi di legno a cui lei dava la sua voce, fermo restando che poi rifaceva tutto in doppiaggio, pratica assai abusata in quegli anni, dove si ricreava completamente il parlato del film. Doppiaggio che nel caso di questo “Film d’amore e d’anarchia” creò alla produzione non pochi problemi, arrivando a costare quasi quanto l’intero girato, perché le ragazze della casa di tolleranza provengono da tutte le regioni d’Italia e ne parlano tutti i dialetti.

https://images.mubicdn.net/images/film/27616/cache-51092-1574841630/image-w1280.jpg?size=800x
Prime da sinistra: Lina Polito e Mariangela Melato; al centro col braccio alzato Isa Danieli, seduta accanto a lei Enrica Bonaccorti; ultima a destra Anna Melato.

Dopo l’exploit di Mimì Metallurgico, nel quale racconta il disagio della classe operaia, e col quale impose all’attenzione di critica e pubblico l’inedita coppia Giannini-Melato – quando i produttori avrebbero voluto imporle altri nomi ben più noti che lei sapeva di non poter dirigere secondo il suo tirannico metodo, con questo film ripropone la coppia vincente e fa un salto nell’immediato passato dell’Italia fascista ispirandosi a un fatto realmente accaduto: quello di un uomo venuto a Roma dalla provincia per uccidere Mussolini e che trascorre tre giorni in un casino, protetto accudito e coccolato dalle prostitute. Il film è drammatico ma il suo modo di trattare la materia, quello grottesco e divertito che sarà la sua cifra vincente, ne fa un’opera magistrale che entusiasma la critica e fa accorrere a frotte la gente a al cinema. Se già con Mimì aveva risvegliato l’attenzione di Hollywood con questo “Love and Anarchy” si guadagnò l’ammirazione incondizionata del severissimo critico John Simon e cominciarono ad arrivare le proposte da Hollywood.

Love & Anarchy (1973) - IMDb

Nel film le sue marionette diventano maschere da commedia dell’arte con tutte le tipologie dialettali del genere e le caratterizzazioni precise e senza le sfumature del naturalismo; le ragazze, come tristi Pierrot, sono pesantemente truccate di bianco (Lina metteva mano anche al trucco) e il protagonista, con la zazzera disordinata e decolorata in rosso, indossa un make-up (8 ore ogni seduta) che gli fa il volto una maschera piena di efelidi: una fantasia dell’autrice che disegna i suoi personaggi direttamente sugli interpreti, diversamente da quanto faceva Federico Fellini – per il quale era stata assistente in “La dolce vita” e “8 1/2” – che disegnava i suoi pupazzi su carta e poi li trasferiva nella fisicità e nella fisionomia degli attori.

Il film si conclude con una citazione dello scrittore anarchico Errico Malatesta: “Voglio ripetere il mio orrore per attentati che oltre a essere cattivi in sé sono stupidi perché nuocciono alla causa che dovrebbero servire… Ma quegli assassini sono anche dei santi e degli eroi… e saranno celebrati il giorno in cui si dimenticherà il fatto brutale per ricordare solo l’idea che li illuminò e il martirio che li rese sacri.” E vale la pena elencare il cast che con Giannini protagonista assoluto ha come coprotagoniste Mariangela Melato e la debuttante Lina Polito che giovanissima aveva recitato in teatro con Eduardo De Filippo. Eros Pagni tratteggia la maschera del facinoroso fascista e Pina Cei è la tenutaria del bordello. Elena Fiore, che abbiamo visto in “Mimì metallurgico” è la sguaiata cagna da guardia del casino, mentre alle signorine prestano volto e non sempre voce: Isa Danieli che tornerà più volte a lavorare con Lina, Anna Melato sorella di Mariangela, le giovanissime e irriconoscibili Enrica Bonaccorti e Anna Bonaiuto, e ancora Giuliana Calandra e Isa Bellini. Roberto Herlitzka in una sola scena dà vita a un ispettore di polizia fascista che tratteggia la filosofia del regime: cancellare dalla memoria collettiva gli oppositori del regime.

Nella filmografia di Lina seguirà “Tutto a posto e niente in ordine”, un film che torna al mondo operaio contemporaneo con un cast corale e col quale l’autrice prova ad affrancarsi dalla coppia Giannini-Melato ormai divenuta celeberrima, grazie a lei, e che singolarmente sono avviati in eccellenti carriere; il film non ebbe successo commerciale e posso testimoniare in prima persona, essendo all’epoca un giovane spettatore di Lina Wertmüller, che io stesso non andai a vedere il film perché non c’erano Giannini e Melato. Quello stesso anno, il 1974, torna nelle sale dirigendo di nuovo la coppia fatale in “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto” che sarà la punta di diamante dei quattro film che contano nella sua carriera. Concluderà questo quartetto fortunato “Pasqualino Settebellezze” col quale torna al passato e agli orrori del nazi-fascismo.

A quel punto cede alle lusinghe di Hollywood e gira “La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia” con Giannini e Candice Bergen, un film sbagliato che rompe definitivamente l’incanto e la complicità fra l’autrice e il suo pubblico, e anche con Hollywood che non perdona gli insuccessi: io ero andato a vederlo perché era il primo film americano di Lina e anche perché c’era la bionda glaciale Candice Bergen che avevo ammirato in “Soldato Blu” e “Conoscenza Carnale”, 1970 e ’71. Lina non ne fa un dramma e continua imperterrita a lavorare, e tornata in Italia gira “Fatto di sangue fra due uomini…” nel quale coinvolge ancora una volta Giannini insieme ai divi di più lungo corso Marcello Mastroianni, suo amico personale a cui rinnovò il look aggiungendo una lunga barba, e Sophia Loren con la quale si scontrò subito proprio a causa del trucco: Lina voleva che il suo volto esprimesse la tragedia greca e, in fondo, sappiamo che voleva ridisegnare a suo modo la diva; la quale, ferma alla sua immagine di star internazionale con le sopracciglia ad ali di gabbiano, non voleva assolutamente che qualcuno le cambiasse i connotati: che erano la percezione di sé e insieme l’immagine con la quale il pubblico la percepiva da sempre: vinse Lina e in seguito lavorarono di nuovo insieme. Lei, la terribile regista sempre sorridente, è riuscita a creare intorno a sé una sua propria longeva mitologia senza mai più tornare, però, ai fulgori dei magici anni settanta; è passata alla regia di eccellenti film tv e poi alle regie d’opera grazie all’influenza e al gusto del marito scenografo, che ha curato tutti i suoi film, Enrico Job, che si legge iob e non giob all’inglese.

Film d'amore e d'anarchia - Ovvero "Stamattina alle 10 in via dei Fiori  nella nota casa di tolleranza..." - Wikipedia

“Film d’amore e d’anarchia – Ovvero: Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza…” valse a Giannini il premio come migliore attore al Festival di Cannes; Grolla d’Oro alla migliore esordiente Lina Polito; Nastro d’Argento a Giannini e alla Polito; Mariangela Melato si dovette accontentare della candidatura ai New York Film Critics Circle Awards dove arrivò terza dietro alla vincitrice Joanne Woodward (“Summer Wishes, Winter Dreams” mai distribuito da noi) e alla seconda classificata Glenda Jackson (“Un tocco di classe”).

Nel 1977 Lina Wertmüller è stata la prima donna regista a essere candidata all’Oscar per il successivo “Pasqualino Settebellezze” in tre categorie: migliori regia sceneggiatura e film straniero, anche con Giannini candidato come miglior attore. Lina è così diventata per le giovani registe dell’epoca un’icona a cui ispirarsi, dato che è stata anche la prima ad avere un successo commerciale internazionale. “Non si può fare questo lavoro – dichiarerà lei – perché si è uomo o perché si è donna. Lo si fa perché si ha talento. Questa è l’unica cosa che conta per me e dovrebbe essere l’unico parametro con cui valutare a chi assegnare la regia di un film”. E’ stata anche la prima a far recitare en travesti Rita Pavone nel ruolo maschile del televisivo “Il giornalino di Gian Burrasca” ed era il 1964.

La cultura femminile o femminista oggi la indica come un’autrice che ha sempre posto attenzione alla condizione della donna, ma così non è, e io c’ero: Lina Wertmüller, nei suoi film di punta, con eccezione di “Travolti…” dove i ruoli uomo-donna sono assolutamente paritari, non si preoccupava di avere uno sguardo al femminile, tutt’altro; i suoi protagonisti sono stati i personaggi – Mimì, Tunin, Pasqualino – interpretati da Giancarlo Giannini, suo vero alter ego, e le donne erano solo coprotagoniste della vicenda; di fatto lei non si curava di essere femminile o maschile ma solo regista coniugata al maschile: “Il massimo della mia aspirazione – dirà – non era passare alla storia come un regista impegnato, io volevo passare alla storia come un regista che si è divertito.”

E’ più utile dire che ha indagato i ruoli dell’uomo e della donna nella nostra società e in diverse epoche, sempre nell’eterno dialogo tra il Nord e il Sud – lei che si è sempre considerata una donna del sud; e nel contrasto tra la borghesia e il proletariato, sempre guardando la politica e la società con ironia pungente e grottesca, senza mai prendersi sul serio, appunto, e divertendosi divertendoci. Nel 2020 le viene attribuito l’Oscar onorario con questa motivazione: “Per il suo provocatorio scardinare con coraggio le regole politiche e sociali attraverso la sua arma preferita: la cinepresa”.

E’ del 2015 il film documentario di Valerio Ruiz “Dietro gli occhiali bianchi”, visibile nel pacchetto Sky, in cui è raccontata da quanti l’hanno conosciuta e in cui lei stessa si racconta sempre col brio che l’ha contraddistinta, raccontandoci dei suoi occhiali bianchi: “Devo dire che ho sempre avuto una gran simpatia per gli occhialiprima ce li avevo di tutti i colori: verdi giallo rossi, poi a un certo punto c’è stato un incontro fatale, quello con gli occhiali bianchi. Come succede negli incontri d’amore, uno non se l’aspetta quel segno del destino però quando càpita càpita!” E’ questo il creare la propria mitologia: io non credo affatto che una giovane donna, come un giovane uomo, potesse essere felice di dover portare gli occhiali e perciò averne una gran simpatia: ci si convive e si scende a compromessi, ci si piace così come si è. Poi lei continua spiegando che avendo trovato un modello che le piaceva particolarmente, dovendo sostituirlo e non trovandolo più nei negozi, si reca addirittura nella fabbrica che li produceva pensando di acquistarne una mezza dozzina, ma l’imprenditore le spiegò che l’ordine minimo era di 5000 pezzi e così Lina si rifornì dei suoi occhiali bianchi per tutta la vita. E anche oltre.

https://www.amica.it/wp-content/uploads/2019/10/lina-wertmuller-oscar.jpg?v=863595

Omaggio a Piera Degli Esposti

Il 14 agosto del 2021 se n’è andata anche Piera Degli Esposti, 83enne, e se n’è andata così come se ne doveva andare, essendo stata operata a 39 anni di pleurectomia, ovvero a causa di un tumore le sono state rimosse entrambe le pleure, che sono le membrane che avvolgono i polmoni. Ha trascorso un lungo periodo in un sanatorio e ha poi ricordato che per darsi forza si alzava ogni mattina con una canzone in testa, come quando da ragazzina lavorava in una sartoria della nativa Bologna e cantava mentalmente per far passare il tempo. “Io volevo essere un’atleta, ho la fissa del nuoto, alle Olimpiadi mi affascinano quelli che spiccano i salti e l’asta sta lì in bilico: mi interessa la forza di volontà di quel momento, ho una passione per il corpo che ha questa gran energia e concentrazione. Infatti non mi piaceva fare cinema perché, nonostante abbia iniziato con i Taviani, Pasolini, Zampa, lo giudicavo troppo centimetrale, mi sentivo stretta nell’inquadratura.E quanta forza di volontà ed esercizio deve esserle costata la recitazione, soprattutto quella teatrale, che è fatta di diaframma e di respiri lunghi che sostengono la battuta, che danno forza alla voce. La sua voce cinematograficamente un po’ così, un po’ graffiata, caratteristica di chi fuma troppo, e da spettatori comuni non ci era dato sapere quale grande sofferenza e attenzione ed esercizio c’erano invece dietro. Per la sua particolare voce Eduardo De Filippo l’aveva definita “o verbo nuovo”.

Si forma artisticamente nel teatro sperimentale facendo un percorso con Carmelo Bene; tenta il salto stilistico ma viene respinta dall’Accademia Nazionale di Arte Drammatica, non si dà però per vinta e si unisce al Teatro 101, spazio che dalla metà degli anni ’60 fa innovazione e cultura teatrale, spazio in cui incontra Gigi Proietti che diverrà suo grande amico e dove comincia a lavorare diretta da Antonio Calenda; poi passa al Teatro Stabile dell’Aquila dove sarà prim’attrice in spettacoli classici come “La figlia di Jorio” e “Antonio e Cleopatra”. Nel frattempo ha esordito in tivù nel “Conte di Montecristo” del 1966 e l’anno successivo comincia a fare il cinema dove sarà un’interprete molto amata da autori come i Taviani, Pasolini, Ferreri, Moretti, Bellocchio, Tornatore, Sorrentino e con la Lina Wertmuller della fase calante dopo i successi con la coppia Giannini-Melato, girerà tre film. Nel 1980 arriva nelle librerie “Storia di Piera”, storia della sua infanzia e grande successo di vendite scritto con la sua amica di sempre Dacia Maraini; romanzo da cui tre anni dopo Marco Ferreri girerà il film omonimo con Isabelle Huppert come Piera e Hanna Schygulla come sua madre, che a Cannes vinse il premio per la migliore interprete femminile. Marco Ferreri la stima in modo speciale, e più che impiegarla come attrice preferisce usare il suo talento di scrittrice e sempre in coppia con Dacia Maraini la preferisce sceneggiatrice, oltre che della sua storia, la storia di Piera, anche di “Il futuro è donna”.

E’ protagonista assoluta di questo film del 1989, “Il decimo clandestino”, sceneggiato dalla Wertmuller da un racconto di Giovanni Guareschi, quello di Don Camillo e Peppone, e prodotto per la tivù di Mediaset. Proprio perché prodotto tivù non ci sono locandine e anche le foto del set sono assai scarse, ed è evidente che non è stato considerato un prodotto di punta. Rattrista, anche, nelle scarse note che sul web accennano al film, leggere il nome della protagonista dopo quello della più/altrimenti celebrata coprotagonista Dominique Sanda, e addirittura ci sono casi in cui Piera non è neanche citata.

Da un fotogramma tv i nove bambini tutti arrampicati su un albero, come uccellini pronti a spiccare il volo o come frutti pronti da spiccare, in un’inquadratura surreale che vale tutto il lavoro di Lina Wertmuller.

La storia è quella di una vedova che dalla campagna si trasferisce in città, a Bologna, per aprire una bottega di primizie alimentari, ma ha con sé una nidiata di nove figli e non riuscendo a trovare un alloggio, perché nessuno vuole così tanti bambini in giro, si finge sola e in un palazzo nobiliare riesce a prendere in affitto una mansarda dai proprietari borghesi, come essi stessi si definiscono. I nove bambini in età scalare dai 12 ai 2 sono talmente ubbidienti e bene ammaestrati da passare inosservati alla portinaia, la mattina presto e a notte fonda, e sono nove dei clandestini cui fa riferimento il titolo, ma l’inganno non può evidentemente durare. Surreale, e a tratti grottesco, conserva lo spirito di Guareschi che viene esaltato dalla regia di una Lina Wertmuller ancora in grado di dire la sua, poiché il surreale e il grottesco sono da sempre il suo pane quotidiano. Trova in Piera Degli Esposti una protagonista in stato di grazia, sempre lieve e sorridente anche nei momenti più difficili fa brillare questo piccolo film con la sua gioia di vita. Non sono da meno i nove bambini che recitano tutti in presa diretta, e non dev’essere stato facile dirigerli, e imprimono al film una freschezza rara che fa seguire la visione con un sorriso, lo stesso che la protagonista esibisce dall’inizio alla fine, senza mai abbattersi e sempre gioendo alla vita, sulle note di “Azzurro” portata al successo da Adriano Celentano ma scritta da Paolo Conte, canzone che torna in molti diversi arrangiamenti, dall’aria con violini al carillon.

Giorgio Trestini

Coprotagonista, dicevo, la francese Dominique Sanda, che sul grande schermo ha avuto i suoi anni migliori nei Settanta, diretta da maestri come De Sica, Bertolucci, Visconti, Bolognini, Cavani; qui nel ruolo della rigida borghese padrona di casa che nasconde un doloroso segreto: il decimo clandestino, la cui scoperta toglie il sorriso alla nostra protagonista. Nel ruolo di suo marito lo sconosciuto tedesco Hartmut Becker, scritturato per evidenti ragioni di mercato e coproduzione, attore fondamentalmente televisivo nella natia Germania con un paio di partecipazioni nell’Ispettore Derrick che molto seguito ha avuto da noi. Un altro ruolo di peso, quello del lattaio vicino di bottega (con sfacciata pubblicità della Granarolo) è andato a Giorgio Trestini, anch’egli della provincia bolognese, qui forse (limitatamente alla mia conoscenza) nel suo ruolo più impegnativo dato che più spesso è riconoscibile, per la sua faccia e il suo fisico, in piccoli ruoli e figurazioni come uomo di fatica, energumeno e malvivente, raramente in divisa di poliziotto: era nel cast di “Milano calibro 9”.

Quando nel novembre dello scorso anno se ne andò Gigi Proietti, Piera Degli Esposti ebbe a dire: “Sono senza parole, sono addolorata, sono colpita che un uomo cui mi sentivo legata da oltre cinquant’anni, un artista della portata di Gigi Proietti, se ne sia andato via prima di me.” Era consapevole della sua fragilità. Con Proietti condivideva il senso del cognome: i proietti e gli esposti erano i trovatelli, i figli di nessuno, quelli che una volta venivano abbandonati davanti ai portoni dei conventi e delle chiese, ma non era questa antica provenienza oggi curiosità lessicale che li legava, quanto piuttosto l’essersi riconosciuti simili, ribelli, insofferenti alle catalogazioni. Avevano praticamente cominciato insieme e si erano ritrovati in palcoscenico nella messa in scena di “Operetta” di Witold Gombrowicz all’epoca del Teatro 101 di Roma, ai tempi del teatro di ricerca e sperimentazione e proprio in quello spettacolo, a suo dire, emersero le loro differenti specificità che li avrebbe condotti su binari diversi e paralleli, ed erano sempre rimasti in contatto con stima e affetto reciproci: “Siamo cresciuti in modo differente, ma siamo stati due ragazzi che si sono entusiasticamente sottoposti a un tirocinio uguale, con risultati speculari”. Nel giugno di quest’anno Piera è entrata in ospedale per complicazioni polmonari, le sue di sempre, quelle che le hanno spezzato il respiro e fatto di lei un’attrice unica. E con l’ultimo respiro mi piace pensare che sia tornata nel respiro universale.

Pasqualino Settebellezze

Pasqualino Settebellezze anche lui ferito nell’onore come Mimì Metallurgico, dato che per difendere il suo onore finisce nei guai. Ma se Mimì salva il suo onore con uno sberleffo, Pasqualino l’onore non lo salva e lo perde ancor più, perdendo pure la libertà. Un film amaro, che dal grottesco che sposa il drammatico dei precedenti film, si fa di un grottesco livido venato di tragedia. Non ci sono più neanche i colori brillanti del capostipite dei successi di Lina W. e il film è polveroso, buio, tetro – e a ragione. Ancora tutto costruito sul talento istrionico di Giancarlo Giannini, per intere sequenze perde anche la parola tornando all’espressività del cinema muto, vedi la sequenza del processo tutta fatta di sguardi molto eloquenti, o quella di quando lui che deve disfarsi del cadavere e sono evidenti i richiami alle comiche d’antan.

Cosa è accaduto a Lina Wertmüller? Dopo il successo del 1972 ha battuto il ferro ben caldo sfornando un film l’anno: “Film d’amore e d’anarchia” nel ’73; “Tutto a posto e niente in ordine” film corale del ’74 senza Giannini, e forse anche per questo rimasto in secondo piano; sempre del ’74 un altro clamoroso successo che riunisce la coppia Giannini-Melato, terrone-milanese, proletario-borghese, film che nel 2002 ha avuto un infausto remake con Adriano Giannini figlio di, e Madonna, diretti dal marito di lei Guy Ritchie; Lina W. ha dichiarato di aver ceduto i diritti del film a Madonna per stima nei suoi confronti (tralasciamo il ritorno economico?) ma dopo il clamoroso flop del film ha dichiarato di aver commesso un errore, visto anche lo stravolgimento della trama in cui si perde lo scontro-confronto sociale e politico e diventa solo un’occasione per due differenti tipologie umane.

Pasqualino Settebellezze (1975) | FilmTV.it
Fernando Rey

Il 1975 è l’anno di “Pasqualino Settebellezze”. In questi pochi anni Lina W. ha creato un suo stile e, cosa ancora più ammirevole, ha fidelizzato una grossa fetta di pubblico, creandosi un seguito anche oltre oceano. In questo film per la prima volta ci sono nel cast degli stranieri: lo spagnolo Fernando Rey, portato al successo da Luis Buñuel e subito divenuto un caratterista di lusso nel cinema internazionale molto apprezzato anche per la sua professionalità; qui recita senza farsi doppiare, lui che ha iniziato la carriera da doppiatore ed è stato la voce spagnola di calibri come Tyrone Power e Laurence Olivier, e tratteggia un anarchico spagnolo che ha fallito vari attentati contro Hitler e Mussolini.

Shirley Stoler, come nazista e fuori scena

L’altra straniera è l’abbondante americana Shirley Stoler, anche lei senza doppiatrice, che interpreta la comandante del lager, una forzatura narrativa perché, benché ci siano state anche delle donne fra le SS che gestivano i lager, nessuna è mai arrivata al grado di comandante. C’erano le guardie, generalmente conosciute con il titolo di SS-Helferin (Aiutante Donna delle SS). Nella gerarchia nazista nessuna donna avrebbe potuto dare ordini ad un uomo poiché il rango di SS-Helferin era considerato al di sotto di tutte le cariche maschili, e le donne non erano riconosciute come membri ufficiali, ma solo come ausiliari e nessun campo di concentramento nazista fu mai affidato ad un comandante donna. La Stoler, che nel corso della sua vita è arrivata a pesare anche 250 kili, viene dal teatro sperimentale di La Mama e Living Theatre; i suoi ruoli più noti sono sono quelli in “Il Cacciatore” di Michael Cimino, 1978, e “Seven Beauties” come viene chiamato Settebellezze nel circuito statunitense.

Altri interpreti degni di nota. Elena Fiore, già in Mimì e qui sorella maggiore di Pasqualino che inguaiata dal fidanzato Totonno Diciotto Carati, che prima la mette a fare la sciantosa in una rivista di quart’ordine e poi direttamente a lavorare in un bordello, è causa di tutti i mali del protagonista, ‘nu ‘uappo detto settebellezze perché tiene sette sorelle, che proprio grandi bellezze non sono, ma sono belle ciacione e lo mantengono con la loro attività di materassaie; lui però racconta che lo dicono settebellezze per ironia all’incontrario, ché brutto com’è ha grande successo con le donne. Piero Di Iorio, poco cinema e molto teatro soprattutto con Luca Ronconi, interpreta l’altro disertore, insieme a Pasqualino, che finisce nel campo di concentramento.

Molto interessante la scelta della colonna sonora, apparentemente bizzarra ma lucidamente espressionista sin dall’inizio del film che si apre con filmati di repertorio, una stretta di mano fra Mussolini e Hitler e poi scene di guerra e distruzione, commentati dalla voce beffarda di Enzo jannacci in “Quelli che” e poi più avanti, seguendo Pasqualino nelle sue disavventure, canta “Tira a campà”: accostamenti fra immagini e canzoni anacronistici e in assoluto contrasto ma che proprio per questo sono una scelta forte e vincente. Su questo argomento Lina W. ha scritto: “Ho sempre pensato che la musica sia l’anima segreta di un film, in grado di suscitare con la sua forza misteriosa le emozioni dello spettatore, elevando il racconto per immagini in vera poesia.”

Amazon.com: Night Full of Rain [VHS]: Giancarlo Giannini, Candice Bergen,  Michael Tucker, Mario Scarpetta, Lucio Amelio, Massimo Wertmüller, Anny  Papa, Anne Byrne Hoffman, Flora Carabella, Anita Paltrinieri, Giuliana  Carnescecchi, Alice Colombo Oxman,

Con questo film, grazie anche al campo di concentramento che sempre commuove gli americani – vedi l’Oscar a “la vita è bella” di Roberto Benigni – Lina Wertmüller mette a segno 4 candidature agli Oscar: Miglior film in lingua straniera, Miglior regia, Migliore attore e Migliore Sceneggiatura; nessuna candidatura va a segno: miglior film e miglior regia vanno a John G. Avildsen per “Rocky”, miglior attore fu Peter Finch per “Quinto Potere”, premio postumo dato che l’attore morì dopo il completamento del film; miglior sceneggiatura a Paddy Chayefsky sempre per “Quinto Potere”. Ma Lina W. si poté fregiare del titolo di prima regista, donna, e per giunta straniera, a ricevere una candidatura, dopo di lei verranno Jane Campion, Sofia Coppola e Kathryn Bigelow. Interrompendo il ritmo di un film l’anno ne impiega tre per il successivo, che data la notorietà negli Stati Uniti è ora una coproduzione: “La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia” con Candice Bergen accanto a Giannini, film che non ottenne lo sperato successo sia di qua che di là dell’oceano. L’incanto si è rotto, la fascinazione che aveva sul pubblico è sparita. Seguirà un solo altro film con Giannini, sempre nel 1978, “Fatto si sangue fra due uomini per causa di una vedova” con Mastroianni e la Loren, e poi un film tv nel 2002, “Francesca e Nunziata”, ancora con Sofia Loren. Per il resto sarà una regista che camperà di rendita sui successi degli anni d’oro 1972-75, tornerà alla televisione nobilitandola con i suoi film tv e sarà regista teatrale e d’opera.

Quando in un’intervista le è stato chiesto se avesse mai avuto difficoltà in quanto regista donna ha risposto : “Me ne sono infischiata. Sono andata dritta per la mia strada, scegliendo sempre di fare quello che mi piaceva. Ho avuto un carattere forte, fin da piccola. Sono stata addirittura cacciata da undici scuole. Sul set comandavo io. Devi importi. Gridavo e picchiavo. Ne sa qualcosa Luciano De Crescenzo durante le riprese di “Sabato, domenica e lunedì” con Sofia Loren. Non faceva altro che gesticolare con l’indice di una mano e così per farlo smettere gli “azzannai” il dito.” Nel 2019 le è stato conferito l’Oscar onorario con la motivazione: “Per il suo provocatorio scardinare con coraggio le regole politiche e sociali attraverso la sua arma preferita: la cinepresa”. Lei non è mai stata una regista femminista né una regista femminile nel senso di una sensibilità stilistica immediatamente riconoscibile, come è per Jane Campion o Sofia Coppola, tanto per restare nell’ambito delle registe nominate all’Oscar, pur con un accostamento sicuramente improprio; non ha mai lavorato dalla parte delle donne o fatto della sua influenza culturale un veicolo di quella parte, ma è stata regista senza connotazioni di genere, al di sopra delle parti e sempre politicamente schierata dalla parte del proletariato. Si può dire che i suoi migliori personaggi maschili sono lei. E’ stata anche accusata di anti femminismo dal movimento “Me Too” che si batte contro le molestie sessuali e la violenza sulle donne, per le scene in cui Giannini schiaffeggia la Melato in “Travolti…” ma è una lettura superficiale approssimativa e decontestualizzata che lascia il tempo che trova. Quando a 91 anni ha avuto in mano il suo Oscar, l’ha guardato e ha detto: Perché non chiamarlo Anna? invitando tutte le attrici in sala a pretendere un Oscar-Oscarina.

Giancarlo Giannini, intervistato da Huffpost dice di lei: Mi ha creato. Se non ci fosse stata lei, io non sarei qui e non avrei mai fatto quello che ho fatto nella mia carriera. E’ riuscita a trasformare ogni idea che aveva in un grande divertimento ed è sempre stato un piacere lavorarci insieme e confrontarsi sugli argomenti più disparati. Per me è stata tutto.”

Mimì metallurgico ferito nell’onore

1972. Con questo successo di pubblico e critica comincia il fruttuoso sodalizio, che li porterà all’Oscar, tra la sceneggiatrice regista Lina Wertmüller e Giancarlo Giannini, insieme a Mariangela Melato.

accadde…oggi: nel 1992 muore Maria Signorelli, di Giuseppina Volpicelli |  daniela e dintorni
Maria Signorelli con i suoi burattini

Lina – all’anagrafe Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braueich, romanissima, figlia di un potentino, con un cognome che le arriva da lontane radici aristocratiche elvetiche – viene dall’accademia teatrale del russo italianizzato Pietro Sharoff e poi, per alcuni anni, sarà animatrice e regista del teatro dei burattini di Maria Signorelli; un’impronta, questa dei burattini, che segnerà il suo stile sempre intriso di una visione grottesca della vita in cui i suoi personaggi si muovono, agiscono e parlano, come burattini: più maschere che personaggi realistici, più rappresentazione di un tipo in senso assoluto che tipi di complessa umanità. Farà anche teatro, radio e televisione dove debutterà nel 1964 come co-sceneggiatrice e regista di “Il giornalino di Gian Burrasca” con Rita Pavone, che fra l’altro lancerà la canzone “Viva la pappa col pomodoro” parole della Wertmüller e musica di Nino Rota.

Prime Video: The Belle Star Story - Il mio corpo per un poker

Nel cinema sarà aiuto di Federico Fellini (“La dolce vita” e “8 1/2”) e debutta come regista cinematografica nel 1963 con “I basilischi”, un ritratto di accidiosi giovani di provincia, molto ispirato a “I vitelloni” del maestro, che se non le vale l’attenzione del pubblico attira però l’interesse della critica: premiata al Festival di Locarno e poi anche a Taormina e Londra. Dirigerà di nuovo Rita Pavone in “Rita la zanzara” e “Non stuzzicate la zanzara” e poi lo spaghetti-western con Elsa Martinelli “Il mio corpo per un poker” nascondendosi sotto lo pseudonimo Nathan Witch. Nel 1972 la svolta con “Mimì metallurgico” che le frutta la nomination Palma d’Oro al Festival di Cannes e consacra Giannini e la Melato: David di Donatello a lui e David speciale a lei, Nastri d’Argento e Globo d’Oro a entrambi come rivelazioni, e Grolla d’Oro solo per lui.

Risate in quarantena: Cabiriams consiglia – Cabiriams
Giancarlo Giannini e Mariangela Melato, Mimì e Fiore, con i coloratissimi maglioni che lei fa e vende. Nei titoli: i costumi della Sig.na Melato sono di Enrico Job. Che è scenografo e marito di Lina Wertmüller.

Il film inaugura la felicissima accoppiata Giannini-Melato benché il protagonista sia solo lui, che interpreta il catanese Carmelo Mardocheo, diviso fra tre donne: la moglie Rosalia, la concubina milanese Fiore e l’amante napoletana Amalia. la storia, una commedia grottesca in cui i personaggi sono, come detto, delle marionette, o delle macchiette cinematograficamente parlando, si regge tutta sull’espressività dello spezzino cresciuto napoletano Giancarlo Giannini.

Mimì Metallurgico | ciaksicilia
Giannini con Agostina Belli con una folta parrucca nera che la rende quasi irriconoscibile

La sceneggiatura, brillante, accattivante, parte da una Catania grottesca dove si parlano ben tre dialetti: quello autoctono dei caratteristi locali, quello stilizzato e teatrale del prim’attore Turi Ferro che mette a servizio la sua maschera per interpretare diversi ruoli di mafiosi, tutti imparentati fra loro, tutti riconoscibili da tre nei a triangolo sulla guancia destra, simboleggianti il triangolo della Sicilia: riuscito simbolo della tentacolare mafia che insegue dovunque il povero protagonista. Il terzo dialetto è quello che io, da catanese, chiamo sicilianese, un dialetto costruito al cinema da autori e attori che siciliani non sono, finto e inesistente, quanto urticante per le orecchie sicule doc.

MIMÌ METALLURGICO FERITO NELL'ONORE movie seduction scenes |  re-edit/rescore – serenagiannini
Giannini stretto fra le braccia di Elena Fiore

Purtroppo Giannini parla il catanese che gli è stato scritto come meglio può, e non è il solo dato che gli fa da spalla come amico comunista il torinese Luigi Diberti. Così sul piano linguistico la sceneggiatura fa acqua da tutte le parti ed è evidente che Lina non si è preoccupata più di tanto della credibilità, del resto la sua è una commedia grottesca. La catanese moglie di Mimì si chiama Rosalia e tutti i catanesi sanno che nessuna catanese si chiama Rosalia, dato che Santa Rosalia è la protettrice di Palermo mentre la protettrice di Catania è Sant’Agata e a Catania ci sono (c’erano, a dire il vero) tante Agata. Mimì, ferito nell’onore, si preoccupa che possa passare per frocio e ricchione, termini romano e napoletano, ma tutti sanno che a Catania si dice puppu e jarrusu. E lo stesso Mimì, zittendo la napoletana Amalia si lascia scappare un napoletanissimo statte szitta! Per il resto il film è un intelligente affresco di fatti sociali dell’epoca, alcuni mai debellati: la mafia appunto, il voto di scambio, l’emigrazione interna di lavoratori da sud a nord, il caporalato, le manifestazioni e le contestazioni, il tutto filtrato attraverso il colorato caleidoscopio di Lina Wertmüller che si farà stile personale.

DAVID COPPERFIELD sceneggiato RAI di grande successo del 1965
Giancarlo Giannini con Anna Maria Guarnieri in “David Copperfield”

Giancarlo Giannini aveva raggiunto la popolarità nel 1965 col televisivo “David Copperfield”, regia di Anton Giulio Majano che nel 1971 lo dirigerà di nuovo in “E le stelle stanno a guardare”. Il suo incontro con Lina W. è dovuto grazie ai due musicarelli con Rita Pavone la Zanzara, ma sul grande schermo si impone nel 1970 con “Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca)” di Ettore Scola, nel quale mette a punto il personaggio dell’operaio fulminato e instabile che tornerà a interpretare molte volte, soprattutto con Lina W.

Fuori Cinema | Film in TV (ma da vedere) _ lunedì 30 marzo | Il Cinema  Ritrovato Festival
Mariangela Melato con Massimo Foschi in “Orlando Furioso” di Luca Ronconi

Mariangela Melato ha studiato pittura all’accademia di Brera e poi ha lavorato come vetrinista alla Rinascente per pagarsi le lezioni di recitazione. Raggiunge la fama interpretando Olimpia nel grandioso “Orlando Furioso” allestito da Luca Ronconi. Al cinema riceve la consacrazione con “La classe operaia va in paradiso” del 1971 col quale vince da protagonista il Nastro d’Argento e il David speciale cumulativo dei due film, La Classe Operaio e Mimì Metallurgico. Anche lei come Giannini avrà un successo internazionale e negli ultimi anni tornerà signora del teatro. Muore 71enne nel 2013 per un tumore al pancreas.

Agostina Belli con Alessandro Momo

Anche Agostina Belli aveva lavorato alla Rinascente di Milano, ma come segretaria negli uffici, e chissà se si erano mai incontrate con Mariangela Melato. Grazie alla sua indubbia bellezza ottiene delle particine nei musicarelli in voga all’epoca, e in alcuni polizieschi; ma il primo ruolo con cui riesce a farsi davvero notare è questo di Rosalia moglie di Mimì. Il ruolo migliore della sua carriera arriverà nel 1974 con “Profumo di donna” di Dino Risi, dove recita con Vittorio Gassman (che non le renderà facile l’impegno) e la giovane rivelazione Alessandro Momo che morì quasi 18enne in un incidente motociclistico alla fine delle riprese; per questa interpretazione verrà insignita del Globo d’Oro alla migliore attrice rivelazione, e in seguito riceverà molte proposte di cinema di qualità che declinerà tutte, preferendo una carriera più facile nella commedia all’italiana e nelle commedie sexy, forse consapevole dei suoi limiti: infatti la sua voce è stata sempre doppiata da altre attrici professioniste, pratica che all’epoca era ordinaria.

Mimì metallurgico ferito nell'onore | Giffetteria

La caratterista napoletana Elena Fiore, qui in un grottesco nudo sicuramente con controfigura, è la terza donna di Mimì, non desiderata ma voluta per ragioni d’onore. Lavorerà ancora con la regista e Giannini in “Film d’amore e d’anarchia” e “Pasqualino Settebellezze”. L’ultimo film in cui ha lavorato è “Il Marchese del Grillo” del 1981. Oggi è 92enne e non si hanno più sue notizie.

Tuccio Musumeci con Giancarlo Giannini

Anche Luigi Diberti, qui nel ruolo dell’amico Pippino, viene dal teatro e il suo primo ruolo importante è quello di Ruggero, ancora nell’ “Orlando Furioso” di Ronconi. Con ruoli da comprimario e caratterista avrà una lunga carriera equamente divisa fra teatro cinema e tv. L’altro amico di Mimì è l’integerrimo, in senso mafioso, Pasquale, interpretato dal caratterista etneo Tuccio Musumeci, oggi ottantenne primattore del teatro catanese. Un film importante questo Mimì, per la regista e per gli interpreti, e anche per la cinematografia italiana dove irromperà questo genere nuovo di commedia amara, venata di grottesco, e in cui non manca l’impegno sociale, che si pone a metà strada, e sempre in bilico, fra la commedia all’italiana e il cinema politico, in un’Italia vittima del terrorismo. Film di quello stesso anno sono “Il caso Mattei” di Francesco Rosi, “Il caso Pisciotta” di Eriprando Visconti e “Nel nome del padre” di Marco Bellocchio. Ma anche “Roma” di Fellini e poi tanti polizieschi e tutta una serie di Decameroni e di Canterbury e fimetti sexy al limite della pornografia. Erano anni di piombo e almeno al cinema ci si voleva divertire.