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Assicurasi vergine – una sedicenne Romina Power

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Corre l’anno 1967. In Parlamento si discute un disegno di legge sul divorzio ma interviene Papa Paolo VI stigmatizzando quella “egoistica visione della società, opulenta e arida che ora sta insinuandosi anche dentro l’unità della famiglia” e il divorzio dovrà aspettare fino al 1970 per divenire legale in Italia. Si discute anche, e sono già decenni, la riforma dell’università, ma stavolta c’è di nuovo che i giovani sono in fermento, scendono in piazza, fanno le occupazioni e le barricate in difesa del diritto allo studio per tutti, lo slogan è “Una libera università dentro una libera società” e quelle prime agitazioni studentesche si allargano alla società civile, si teorizza una rivoluzione politica, si creano i movimenti pacifisti contro gli americani in Vietnam e si inneggia a Ho Chi Min e Mao Tse-tung e a Che Guevara che quell’anno viene ucciso: i suoi poster riempiranno le camerette e le case degli studenti: sta arrivando il famoso Sessantotto.

Al cinema è l’anno dei tanti spaghetti western, dei musicarelli e dei poliziotteschi, di Franco e Ciccio ma anche de “La bisbetica domata” di Franco Zeffirelli, del “Don Giovanni in Sicilia” di Alberto Lattuada, di “Edipo Re” di Pier Paolo Pasolini e del tempestivo “I sovversivi” dei Fratelli Taviani. E non mancano i filmetti che ammiccano al proibito, come questo “Assicurasi vergine” che però ammicca solo nel titolo e la star Romina Power non mostra (ancora) neanche un centimetro di pelle.

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La neonata Romina coi genitori

Eh già, perché la sedicenne Romina è già una star adolescente, qui al suo terzo film, col nome sopra il titolo, e debitamente doppiata si avvia a fare un film dietro l’altro in cui vengono sfruttati commercialmente la sua adolescenza, appunto, e il nome, in quanto figlia di Tyrone Power, che si inventò il nome Romina perché innamorato di Roma dove venne a sposarsi con Linda Christian. Morto prematuramente il padre, la madre sposò Edmund Purdom che trasferì la famiglia a Roma perché si stava ritagliando una carriera nei peplum italiani. La ragazzina era assai graziosa quanto vivace e scorrazzando liberamente fra Roma Londra e Los Angeles divenne un’abituale consumatrice di LSD, la droga psichedelica degli hippy dell’epoca. Cominciò a fare cinema a 13 anni ed ebbe anche modo di mostrarsi nuda finché in un musicarello non conobbe Albano Carrisi e mise la testa a posto, diventando una signora della canzonetta nazional-popolare.

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In questo film Romina è il perno narrativo attorno a cui ruotano diversi ottimi caratteristi al servizio di una storia assai dinamica e professionalmente diretta, mentre la ragazza bamboleggia con espressioni da fotoromanzo. La trama pare fosse ispirata a un fatto realmente accaduto in Sicilia, dove il film si colloca, secondo cui un padre assicura con tanto di polizza la verginità della figlia da dare in matrimonio al signorotto del paese; lo spunto, già grottesco, si sviluppa narrativamente nel padre, che in difficoltà finanziare, pensa di incassare il premio che gli sarà dovuto qualora la ragazza dovesse perdere la verginità prima del matrimonio, e le prospettive sono assai positive perché la vergine ama riamata il bello ma povero verso le cui braccia viene spinta… ma la vergine è restia perché devota alla Madonna e pure il giovanotto è un fervente che teme le fiamme dell’inferno, così l’illecita unione che tutti sperano, e che gli spioni detective dell’assicurazione temono, si posticipa di scena in scena… Paolo Mereghetti nel suo “Dizionario dei film” scrive: “Commedia boccaccesca di inganni nel consueto Sud da barzelletta”, e questo è.

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E’ anche il penultimo film per il regista Giorgio Bianchi e per l’attrice Daniela Rocca. Lui, attore all’epoca del muto, diventa un regista di vaglia di commedie brillanti fra cui “Il Conte Max” con Vittorio De Sica. Lei, Daniela Rocca, ex Miss Catania sedicenne nel 1953, si trasferisce a Roma dopo aver partecipato a Miss Italia e si dà al cinema, con un importante ruolo nel 1961 in “Divorzio all’italiana” accanto a Marcello Mastroianni di cui interpreta la moglie brutta, pesantemente truccata, in un ruolo che per la prima volta nasconde la sua bellezza e mette in risalto le sue doti artistiche: questa interpretazione la consacrò star internazionale con la candidatura Migliore Attrice Straniera al British Academy Film Awards.

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Pietro Germi sistema i capelli a un’imbruttita Daniela Rocca

Su quel set nacque anche la travagliata relazione sentimentale con il regista, Pietro Germi, e questo contribuirà a minare profondamente la sua già fragile psiche: tenterà più volte il suicidio e dilapiderà i suoi averi in un assurdo progetto cinematografico, “Il peso del corpo”, del quale avrebbe dovuto essere, oltre che protagonista, produttrice e regista. A questo “Assicurasi vergine” dove è l’amante storica del signorotto che deve sposare la vergine, e fa di tutto per mettergli i bastoni fra le ruote, segue un ultimo film assai brutto e del tutto dimenticato, “Un giorno, una vita”. Tornerà sullo schermo intervistata in un documentario d’inchiesta sugli aspetti meno edificanti dell’industria cinematografica, “La macchina cinema” del 1978, un film che racconta le esperienze di quattro giovani cineasti: Sandro Petraglia, Stefano Rulli, Silvano Agosti e Marco Bellocchio che intervista l’attrice già lontana dai set e precipitata nell’emarginazione e nelle solitudine della malattia mentale. Nel video l’estratto della sua testimonianza, penosa e straziante. Morirà in una casa di riposo nel 1995.

Il resto del cast. Vittorio Caprioli è il signorotto che parla un sicilianese identico a quello che Giancarlo Giannini parlerà cinque anni dopo in “Mimì metallurgico ferito nell’onore”. Leopoldo Trieste è lo zio traffichino che imbastisce tutta la trama dell’inganno all’assicurazione, e anche lui, calabrese, si spaccerà per siciliano per tutta la sua carriera, parlando qui un’altra edizione di siciliano inesistente, con frasi tipo “che mi stai a dire?” che è la trasposizione del romanesco “che me stai a di’?” dello sceneggiatore Alfredo Giannetti che poco si è curato, e non è il solo, della credibilità delle forme dialettali siciliane. Di Salerno sono Jole Fierro, che è la madre della vergine, e Dino Mele che è lo spasimante; mentre il padre è interpretato dal messinese dop Oreste Palella, l’unico fra i ruoli principali ad avere una vera cadenza sicula. Nei ruoli di contorno alcuni dei gloriosi interpreti del teatro tradizionale catanese che, nel loro piccolo, danno una lezione di recitazione.

Ciccino Sineri
Nina Micalizzi
Turi Scalia