Archivi categoria: AAA alle origini del cinema italiano, 2

Alle origini del cinema italiano – seconda parte

QUI LA PRIMA PARTE

Uno dei primi generi con i quali la nostra cinematografia si confrontò fu il genere storico, forse anche inconsapevolmente come sorta di ricerca di un’identità nazionale, considerando che fino a mezzo secolo prima l’Italia era stata divisa in tanti stati, per non parlare delle lingue-dialetti; il cinema attinse all’inesauribile fonte dei miti antichi in cui tutti, dalle Alpi alla Sicilia, potevano riconoscere una comune identità: un genere, che poi a Hollywood sarebbe stato denominato peplum, che è stato esportato in tutto il mondo. A inaugurare il genere nel 1905 ci fu “La presa di Roma” diretto da Filoteo Alberini per la Cines: 15 minuti di quadri animati direttamente ispirati all’arte pittorica di Michele Cammarano.

“Battaglia di Dogali” di Michele Cammarano

La Ambrosio Film nel 1908 produsse “Gli ultimi giorni di Pompei” di Luigi Maggi, e poi un remake nel 1913 diretto da Eleuterio Rodolfi, entrambi dal romanzo del britannico Edward Bulwer-Lytton; un kolossal, questo secondo film, che inaugurò anche il genere catastrofico. La Cines produce ancora nel 1913 il lungometraggio “Quo vadis?” tratto dal romanzo del polacco Henryk Sienkiewicz e diretto da Enrico Guazzoni.

Segue, idealmente, il genere dei film d’arte direttamente ispirati dalle produzioni francesi della Le Film d’Art fondata nel 1908 da Paul Lafitte su sollecitazione della Comédie Française affinché venissero messe su pellicola e filmate da autori di rango le loro produzioni teatrali, con l’intento di avvicinare il nascente pubblico cinematografico, di estrazione assai popolare, al più colto teatro. Per gli italiani, che non avevano alle spalle la Comédie Française né una tradizione teatrale univoca, si trattava solo di fare un cinema colto e raffinato oltre che spettacolare, e in questo senso si distinse la Itala Film che nel 1911 produsse “La caduta di Troia” di Giovanni Pastrone, che incoraggiato dal successo e sostenuto dal suo indiscutibile talento, si buttò nell’impresa della già detta “Cabiria” e a seguire realizzò altri film di derivazione letteraria e teatrale, superando con la sua visionarietà Il limite tecnico di quei film d’arte che era consistito nelle inquadrature fisse in campo medio che imitavano la visione di uno spettacolo in palcoscenico: da “Cabiria” in poi i cineasti dovettero fare i conti con lui. Intanto anche la Milano Films si era buttata nell’impresa e nel 1911 produsse quello che si accrediterà come il primo film europeo di grande impegno letterario e artistico, ricco di effetti speciali all’avanguardia: “Inferno”, diretto da Francesco Bertolini, Giuseppe De Liguoro e Adolfo Padovan, quasi fedelmente ispirato all’Inferno di Dante Alighieri; era la versione allungata di un precedente film del 1909, i cui quadri animati si ispirarono alle illustrazioni di Gustave Doré. Ma si mise in mezzo la più piccola Helios Film fondata a Velletri che produsse un altro “Inferno” meno ricco ma con più erotismo con Francesca da Rimini che mostra il seno e nudità sparse dei dannati, e che riuscì a farsi pubblicità sulla scia dell’altro più importante film le cui attese erano tante, uscendo con le proiezioni tre mesi prima.

Altro genere in cui si impegnarono le nostre produzioni d’antan furono i film comici che essendo muti e non avendo il limite del linguaggio impegnarono degli attori stranieri: il francese André Deed già attivo con la Pathé venne scritturato dalla Itala Film e creò il personaggio di Cretinetti. Il francese naturalizzato italiano Ferdinand Guillaume creò per la torinese Pasquali Film i personaggi di Tontolini e Polidor; entrambi, con le loro comiche che gli americani chiameranno slapstick, ispireranno Charlie Chaplin, Buster Keaton e Fatty Arbuckle. Un altro francese, Raymond Dandy, creò Kri Kri per la Cines. E lo spagnolo Marcel Fabre creò Robinet per la Ambrosio Film – solo per ricordare i personaggi principali di quelle battaglie concorrenziali a colpi di comiche.

Si attesta l’anno 1914 per la creazione di quelli che verranno definiti drammi mondani, spesso tratti da testi di Gabriele D’annunzio e Henry Bataille, produzioni che schierano le nuove dive tragiche Francesca Bertini, Lyda Borelli e Lina Cavalieri, ma anche Pina Menichelli, Italia Almirante Manzini e Leda Gys, che con le loro interpretazioni altamente melodrammatiche e ribollenti di indicibili passioni manderanno in soffitta il genere spettacolare del peplum; presto il genere mondano si trasformerà in diva-film che sul piano estetico si ispirava all’arte moderna e sensuale del Liberty; si tratta di drammoni sentimentali assai torbidi, ricchi di Eros e Thanatos, portatori di uno stile recitativo che tende al sublime attraverso quelle ridondanze e quegli eccessi che resteranno nel nostro immaginario collettivo: donne stravaganti ed eccessive che all’epoca impararono a chiamare Dive, un ideale di femme fatale importato dal vivace cinema scandinavo che aveva inventato le Vamp, le donne vampiro.

A questo genere tentarono di adeguarsi anche gli attori che si pretesero Divi, ma con minore presa sul pubblico rispetto alle affascinanti colleghe. Sul piano tecnico va registrato che contrario del contemporaneo cinema americano che aveva fatto sua la dinamica delle scene e del montaggio avviate da Giovanni Pastrone, i diva-film nostrani esaltavano l’estetica dei corpi e l’estatica dei volti con inquadrature spesso lunghe e immobili a contemplare corpi allungati e pose estetizzanti quanto innaturali – oggi deridiamo la diva che si aggrappa alla tenda – in una narrativa che era più contemplazione della divina che vero racconto: le storie alle volte erano non più che risibili pretesti. Da questo modo tutto italiano di fare cinema presero però spunto il cinema espressionista tedesco e quello francese d’avanguardia che utilizzarono magistralmente il primo piano per fare grande cinema.

La locandina tedesca di “Il fauno” di e con Febo Mari della Ambrosio Film.

Da noi il divismo divenne per le case cinematografiche anche mezzo pubblicitario creando aspettativa nel pubblico e garantendo ingenti rientri economici, tanto che l’industria americana lo fece anche suo. Data la concorrenza, le dive cominciarono a specializzarsi verso veri e propri generi interpretativi, che andavano da quello più naturalistico a quello più esasperato; ovviamente le migliori sapevano passare da uno stile all’altro, come Francesca Bertini che nel 1915 diede prova di grande realismo in “Assunta Spina” di Salvatore Di Giacomo che aveva già recitato in teatro, per poi tornare al divismo manierato. Lyda Borelli rispose l’anno dopo inaugurando un nuovo genere, il gotico, con “Malombra” dal romanzo di Antonio Fogazzaro. In quegli anni un diva già più anziana, che aveva rivoluzionato il teatro esibendosi senza trucco e in modo molto naturale e istintivo, Eleonora Duse, diede la sua unica interpretazione cinematografica nel ruolo di una vecchia madre in “Cenere” da Grazia Deledda, di cui parlo in questo blog con il link al film completo diretto e co-interpretato dal divo Febo Mari.

Ultimo genere, fra quelli dell’epoca, che possiamo ricordare fu il film orchestrale, ovvero quello il cui commento musicale – che generalmente era eseguito solo da un pianista, mentre un fine dicitore leggeva le didascalie per il pubblico analfabeta – era eseguito da un’orchestra completa e scritto per l’occasione da grandi personaggi della musica; sempre “Cabiria” aveva dato l’avvio al genere, e bisogna ricordare “Rapsodia satanica” della Cines con Lyda Borelli e le musiche di Pietro Mascagni, primo fra i grandi compositori dell’epoca a firmare una colonna sonora sincronizzandola con le scene del film: “Lavoro lungo, improbo e difficilissimo”, lo definì.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale molte di quelle case di produzione si trovarono in gravi difficoltà e furono costrette a chiudere, con i loro creatori che tornarono all’ormai più semplice attività fotografica; alcune continuarono a sopravvivere ma in generale gli anni Venti segnarono un declino della cinematografia italiana di pari passo all’industria hollywoodiana che si rafforzava, e le superstiti attività subirono il colpo di grazia con l’avvento del sonoro nei primi anni ’30. Ma resta il fatto che proprio in Italia la produzione cinematografica era divenuta una vera e propria industria prima ancora di Paesi che il cinema lo avevano inventato: Francia e Stati Uniti; e gli storici del cinema ancora dibattono sulle motivazioni che portarono a un tale exploit: la politica? l’aristocrazia? la borghesia? l’industrializzazione? o la nostra intera storia?