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Volevo nascondermi

7 David di Donatello su 15 candidature, l’Orso d’Argento al Festival di Berlino a Elio Germano, Nastro d’Argento dell’Anno e altro ancora. Il film aveva fatto in tempo ad essere presentato in anteprima a Berlino il 21 febbraio 2020 con uscita prevista nelle sale italiane il successivo 27, uscita annullata per le ragioni che sappiamo; ai primi di marzo si è tentata un’uscita con poche copie in poche sale incassando in un solo fine settimana 90mila euro, e poi tutti i cinema sono stati chiusi; è uscito di nuovo ad agosto ma fra zone giallo arancio rosse e cautela degli spettatori il film è stato di nuovo ritirato e venduto in streaming fino all’approdo in chiaro sulla piattaforma Sky; adesso si parla di una nuova uscita per cercare di monetizzare il successo di festival e critica.

Nel 1977 c’è stata una miniserie Rai, che allora si chiamava sceneggiato televisivo, in tre puntate, scritto da Cesare Zavattini, diretto da Salvatore Nocita, che fece conoscere a tutti gli italiani il pittore, e il suo interprete Flavio Bucci. Di Antonio Ligabue va ricordato che nacque a Zurigo figlio di padre ignoto e prese dalla madre il cognome Costa; successivamente la madre si sposò con tale Bonfiglio Laccabue che riconobbe il bambino e Antonio Costa divenne Antonio Laccabue, il quale però da adulto cambiò il cognome in Ligabue in odio al padre adottivo che riteneva colpevole della morte della madre e dei tre fratelli, periti a causa di un’intossicazione alimentare.

ARTE TRASALIMENTI: Antonio Ligabue, l'arte difficile di un pittore senza  regole

Ma la sua storia familiare è ancora più complessa perché a un anno la madre lo affidò a una famiglia di svizzeri tedeschi, i Göbel, coi quali crebbe pur restando in contatto con la famiglia originaria e allargata. Ma se la madre aveva dato il figlio alla coppia perché spinta dalla miseria, anche i genitori adottivi o affidatari che fossero – all’epoca quella regolamentazione legislativa non esisteva – non se la passavano così bene e per motivi di precarietà si spostavano continuamente in cerca di lavoro. Antonio, probabilmente anche a causa di carenze alimentari sofferte nei primissimi mesi di vita, soffriva di rachitismo e gozzo, che unitamente a tutti gli altri disagi compromisero il suo sviluppo fisico mentale e psichico. E l’ignoranza diffusa dell’epoca non poté che esacerbare tutti i suoi disagi.

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A 18 anni fu ricoverato per la prima volta in un ospedale psichiatrico e successivamente cominciò ad alternare i soggiorni con i Göbel a fughe senza meta nella natura, impiegandosi come bracciante in quelle fattorie dove avevano imparato a conoscerlo come uno strano ma non pericoloso. Ma in seguito a una violenta lite con la madre adottiva nella quale la aggredì fisicamente, su denuncia della donna venne espulso dalla Svizzera e inviato a Gualtieri, in provincia di Reggio Emilia, comune d’origine del Laccabue. Ai vari disagi di Antonio si aggiunse la non conoscenza della lingua e questo gli diede un accresciuto stato di alterità, di diversità. Continuò la sua vita di bracciante nomade e incominciò a dipingere, quello che vedeva e quello che sentiva, quello che vedeva come lo sentiva, trovando nel disegno e nei colori sollievo ai suoi disagi, ansie, ossessioni.

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Antonio Ligabue con Renato Marino Mazzacurati
“Giovannetta” 1952 bronzo a cera persa di Mazzacurati

Prossimo ai trent’anni ha l’incontro della sua vita con il pittore scultore emiliano Renato Marino Mazzacurati, rappresentante della Scuola Romana, gruppo eterogeneo di artisti attivi nella capitale fra gli anni ’20 e ’40. L’artista in qualche modo lo adotta, gli fornisce tele e colori e fa conoscere le sue opere a Roma dove Ligabue comincia a vendere avviandosi a trascorrere un periodo sereno, se non addirittura opulento, che però non lo liberò da attacchi di parossismo psichico connotati anche da autolesionismo.

Il film racconta questa vita, che è una vita di disagio, la vita di quello che oggi diremmo una persona speciale ma che nella sua epoca rimase incompresa dal punto di vista medico-psichiatrico e solo fortunosamente venne riconosciuto per quello che era, un grande artista dal talento unico, inserito nello stile naïf e non solo: quando ebbe l’opportunità di accedere a pubblicazioni d’arte si lasciò influenzare dai fauves, i selvaggi francesi dei primi del ‘900, come da Van Gogh e Klimt e gli espressionisti tedeschi in genere. Per il resto la sua ispirazione rimane la sua immaginazione che rielabora i mondi conosciuti mischiandoli a quelli immaginari e fantastici dei film e delle riviste, così agli animali da fattoria alterna bestie feroci che non ha mai incontrato davvero, e il suo linguaggio pittorico non è altro che l’espressione del suo personale linguaggio, quello che non sapeva esprimere a parole, e le espressioni anche feroci dei suoi animali sono le sue stesse espressioni intime e segrete, del suo disagio.

Elio Germano è un indiscutibile talento molto attivo, anche con quattro film l’anno. La sua precedente interpretazione biografica, anch’essa premiata col David di Donatello nel 2014, era quella intimista e tormentata di Giacomo Leopardi in “Il giovane favoloso” di Mario Martone. Qui, aiutato da un trucco prostetico, diventa un Ligabue animalesco, e seguito dai coach linguistici che gli hanno fatto parlare il tedesco-svizzero e il dialetto emiliano, e seguendo le testimonianze dirette di chi ha conosciuto Ligabue, Elio Germano cesella un’interpretazione davvero superlativa che segna un’altra pietra miliare nella sua ricca filmografia. Il regista Giorgio Diritti è un cineasta di lungo corso qui al suo quarto lungometraggio: emiliano di Bologna ha collaborato con Pupi Avati ed Ermanno Olmi, e al suo primo film “Il vento fa il suo giro” del 2005 vinse 36 premi su 60 festival nazionali e internazionali in cui si presentò. Se prossimamente il film tornerà davvero in sala merita tutta la nostra attenzione.

Palazzo dei Diamanti - Antonio Ligabue. Una vita d'artista
Antonio Ligabue | Wall Street International Magazine
Antonio Ligabue: Una vita d'artista | Zero