Archivi categoria: qui rido io

Qui rido io

Si torna al cinema nei cinema ma siamo ancora in pochi ché il green pass non tutti ce l’hanno e non tutti lo vogliono, e anche chi ce l’ha – ha anche altre priorità che andare al cinema. Il film di Mario Martone, anche sceneggiatore con Ippolita Di Majo, è stato presentato al Festival di Venezia e porta a casa solo il Pasinetti, un premio collaterale assegnato dai critici, al protagonista Toni Servillo.

Gianfranco Gallo e la foto incriminata: lui qui parla del film del 2014 “Tre tocchi” di Marco Risi ma lo scatto è stato utilizzato, decontestualizzandolo, per accompagnare la recente polemica

Toni Servillo che è stato oggetto di una polemica scatenata dall’attore Gianfranco Gallo che, dopo aver letto i soliti titoli sui trionfi del cinema napoletano, ha scritto su Facebook: “Che poi, con tutto il rispetto per la sua bravura, inquadrandola dal punto di vista degli attori, uno stesso interprete in tre films a Venezia, è il trionfo del Cinema napoletano o la sua fine? Chiaramente tutti lo pensano, ma io solo lo dico”. I tre film(s) sono, oltre a questo di Martone, “E’ stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino (che ha vinto il Leone d’Argento) e “Ariaferma” di Leonardo Di Costanzo, fuori concorso. Ovviamente è successo il finimondo e dopo la valanga di critiche Gallo ha dichiarato: “Mi hanno messo contro Servillo, ma io non ho niente contro di lui. Tre film con lo stesso personaggio: è la vittoria di un singolo, magari di un gruppo. Non di tutto un movimento”.  Ma la frittata era fatta.

Si sa che produttori e registi puntino sempre sul cavallo vincente, quando possono permettersi di pagarlo. Del resto Toni Servillo e Mario Martone sono amici, lavorano insieme da sempre sin da quando non erano famosi, prima in teatro e poi nel primo film “Morte di un matematico napoletano”, e Servillo è divenuto anche l’interprete feticcio di Sorrentino col quale hanno all’attivo l’Oscar per “La grande bellezza”: è un dato di fatto che l’attore stia facendo l’asso pigliatutto nella cinematografia partenopea (e non solo) ma è altrettanto vero, d’altro canto, che non può rappresentarla tutta perché le anime della cultura napoletana sono tante e diverse, come complesso è l’intero argomento. Volente o nolente però, Gianfranco Gallo, ha fatto oggi sui social quello che i giovani intellettuali napoletani fecero a Eduardo Scarpetta un secolo fa: mettere in discussione la figura di riferimento e tentare di abbatterla, convinti di averne il diritto perché convinti di essere il nuovo che avanza. E nel film c’è questo insieme a tanto altro.

In un manifesto dell’epoca Pulcinella, Madama Finz-Finz (anch’essa in maschera)
e il nuovo Felice Sciosciammocca qui nel ruolo di ladro
Antonio Petito

Anche Eduardo Scarpetta era stato il nuovo che avanza sul finire dell’Ottocento, rimpiazzando un po’ alla volta la figura di Pulcinella creata da Antonio Petito nella cui compagnia aveva cominciato a muovere i primi passi. Felice Sciosciammocca esisteva già nei copioni di Petito che, apprezzando il talento del giovane comico, riscrisse su di lui il personaggio come compagno di scena di Pulcinella in alcune delle sue farse più note, ancora espressioni del teatro dialettale e di improvvisazione. Pulcinella, con la sua maschera nera, originariamente era stato una maschera contadina, lo scemo del villaggio (in Sicilia c’è il Giufà di origine araba) che via via si era fatto furbo e insolente e, come il suo pubblico, era diventato personaggio cittadino, quasi borghese; ma era pur sempre una maschera che veniva dalla commedia dell’arte e, benché aggiornati, i suoi frizzi e i suoi lazzi restavano sempre gli stessi, stereotipi da recitare in maschera.

Una delle rare immagini di scena (una fotografia necessariamente in posa) di “Miseria e nobiltà” con Eduardo Scarpetta come Sciosciammocca e Gennaro Pantalena come Pasquale ‘o salassatore

Con la svolta del secolo, il teatro borbonico delle maschere si andò trasformando in teatro borghese, di caratteri più complessi e sfumati insieme, interpretato da attori caratteristi appunto, e il Felice Sciosciammocca – che significa: a bocca aperta, ingenuo, credulone – preso in mano da Scarpetta e da lui riscritto, conserva ancora i modi della maschera ma è già un carattere, un tipo, che di volta in volta cambia mestiere nelle varie farse, così com’erano le maschere in commedia e come saranno anche nel nuovo fantastico mezzo espressivo, il cinema, con le maschere di Buster Keaton e Charlie Chaplin al cui Charlot sembra somigliare nel vestiario questo Felice Sciosciammocca: abito più piccolo di una taglia, scarpe più grandi e cappello, bastoncino di canna, cilindro o bombetta, sulle ventitré. Più volte inquadrato di spalle, in questo film, anche con una camminata caracollante per le scarpe troppo grandi, Martone ci richiama alla mente e omaggia Charlot.

Come lo stesso Eduardo Scarpetta ha scritto nel suo “Cinquant’anni di palcoscenico – memorie” con prefazione di Benedetto Croce, edito pochi anni prima della sua morte avvenuta nel 1925 a 72 anni: “(…) Maschera del piccolo borghese povero ma ambizioso, con il quale ho scalzato e spodestato Pulcinella, per realizzare un teatro adeguato a un pubblico che ‘voleva ridere’ ma vedere attori e non maschere sul palcoscenico, attori ben vestiti che recitassero e non improvvisassero (…) La comicità deve nascere dall’ambiente, dalla situazione scenica, dal personaggio (…) Ma io credo di aver avuto le mie buone ragioni di averla cercata soprattutto nella borghesia dove essa zampilla più limpida e copiosa. La plebe napoletana è troppo misera, troppo squallida, troppo cenciosa per poter comparire ai lumi della ribalta e muovere il riso.”

Mario Martone, sin dal suo esordio cinematografico (è già regista teatrale assai impegnato) con “Morte di matematica napoletano” sulla figura di Renato Caccioppoli dichiara il suo gusto per le biografie e le storie vere continuando con “Noi credevamo” e “Il giovane favoloso” sul soggiorno partenopeo di Giacomo Leopardi; ma anche per gli affreschi, come si dice quando si parla di film abitati da molti personaggi, e per la napoletanità sempre indagata e raccontata nei suoi diversi aspetti. Precede quest’ultimo film la rivisitazione moderna – proveniente dal teatro – di “Il sindaco del rione sanità” di Eduardo De Filippo, e questo tornare al passato nella figura del patriarca padre e patrigno Eduardo Scarpetta sembra un percorso di necessaria ricerca.

“Qui rido io – Scarpetta” è la scritta che il capocomico ha voluto all’ingresso della villa che si è fatto costruire sul Vomero con gli incassi di una sola commedia, come ribadiscono i giovani invidiosi, e il film si concentra sui suoi ultimi anni attivi in teatro, dato che l’uomo era già afflitto dal solito nuovo che avanza, e dal figlio Vincenzo che scalpitava per avere più autonomia e che voleva addirittura fare il cinema con grande scorno del padre; ma il film non racconta che egli stesso girò cinque pellicole mute tratte dalle sue opere, da “Miseria e nobiltà” a “Lo scaldaletto”, film tutti perduti. Inoltre il compagno di scena e sodale Gennaro Pantalena lo tradisce mettendosi in proprio per recitare nel dramma “Assunta Spina” di Salvatore Di Giacomo, già novella di successo poi adattata al teatro dato che il pubblico napoletano era all’epoca pronto a passare dai caratteristi brillanti ai personaggi drammatici. Il colpo di grazia lo riceve quando Gabriele D’Annunzio lo cita in giudizio per plagio del suo dramma “La figlia di Iorio” mentre le cose erano andate diversamente: Scarpetta, ammirato dal dramma del vate e allo stesso stimolato dal proprio gusto per la parodia, si reca a Firenze dove D’annunzio si era trasferito per stare vicino ad Eleonora Duse (che recitò in pellicola una sola volta in “Cenere”) per chiedergli un consenso scritto per la sua parodia “Il figlio di Iorio” ideato per il figlio Vincenzo, consenso che il divertito e ambiguo D’Annunzio gli dà solo verbalmente per poi – com’è nel suo stile di vita sempre votato alla sfida e all’annientamento del nemico ancorché inconsapevole – portarlo in tribunale, sostenuto dai giovani intellettuali napoletani, Salvatore Di Giacomo in testa, ai quali poco importa di D’Annunzio ma molto importa di Scarpetta, e che non vedevano l’ora di disfarsi dell’ingombrante attore commediografo impresario. Difesosi in tribunale approntando un’arringa come vero monologo comico, Scarpetta viene assolto ma da lì a poco lascia l’impresa nelle mani del figlio Vincenzo con l’imposizione di continuare a recitare Felice Sciosciammocca.

Domenico Scarpetta decisamente non ha i tratti somatici e i colori scuri di Scarpetta ma mostra la mascella quadrata della madre e dei De Filippo

Nell’affresco di Mario Martone ci sono ampi stralci della commedia-simbolo “Miseria e nobiltà” nella quale Scarpetta creò il personaggio bambino di Peppiniello proprio per far debuttare Vincenzo e nel quale si avvicendarono tutti i suoi altri successivi figli e figliastri, compresa la femmina Annunziatina detta Titina. E quando l’intera compagnia-famiglia scende dal palcoscenico per riunirsi attorno alla tavola negli impegnativi (per le coronarie) pranzi e sonnolenti dopo pranzi scanditi da sfogliatelle e caffè, la teatralità rimane, uguale, ricca di spunti brillanti e risvolti drammatici, perché Scarpetta fu un patriarca assai prolifico: aveva riconosciuto come suo primogenito Domenico, nato “settimino” nel matrimonio riparatore con la diciottenne Rosa De Filippo, la quale aveva avuto una relazione ancillare col Re Vittorio Emanuele II, che dopo l’unità dell’Italia e la cacciata dei Borboni era passato per Napoli a seminare unità nazionale e regali cromosomi. A Domenico fu proibito di calcare le scene, come implicita forma di rispetto alla sua ascendenza, e nel film si fa passare l’ipotesi, per bocca della stessa Rosa, che Scarpetta abbia avuto dal re, insieme al primogenito, un generoso indennizzo in forma di appannaggio mensile che è servito per restaurare il vecchio San Carlino che divenne prima sede stabile della compagnia. Di queste faccende non si parlava in pubblico benché la gente mormorasse e una volta accadde al Teatro Sannazzaro che un uomo dal pubblico gridasse all’indirizzo del capocomico “…Scarpè tiene ‘e ccorna!” ma lui senza scomporsi rispose: “Sì, ma ‘e mmie so’ reali!”.

Rosa De Filippo, e il figlio Vincenzo Scarpetta che eredita anche lui dalla madre la mascella quadrata
Scarpetta con Luisa De Filippo, anch’ella caratterizzata dalla mascella larga che condivide con la zia Rosa moglie di Eduardo

Dal matrimonio con Rosa nacque un primo vero erede chiamato Eduardo come il padre e detto Bebè, ma il piccolo non sopravvisse e il vezzeggiativo di Bebè rimase come nomignolo del marchese Ottavio Favetti, altro personaggio di “Miseria e nobiltà”. Nacque poi Vincenzo, il vero erede; e nel matrimonio Scarpetta adottò Maria che aveva avuto dalla maestra di musica Francesca Giannetti, la quale sia per afflato amoroso che per problemi economici tentò di ricattarlo, e che alla fine abbandonò la bambina nella Real Casa dell’Annunziata da dove il padre la sottrasse avviando la pratica di adozione. Ma vivendo tutti insieme è facile cedere alle tentazioni così Scarpetta fece altri due figli con Anna, la sorellastra di Rosa: Ernesto che poi prenderà il cognome Murolo dall’uomo che lo adottò legalmente, e che divenuto scrittore sarà fra i giovani contestatori di Scarpetta; segue un altro Eduardo, registrato come De Filippo dal cognome della madre e che calcherà le scene col nome d’arte Eduardo Passarelli; e infine Pasquale che sarà anch’egli attore e che vediamo nascere in questo film.

Ernesto Murolo e gli assai somiglianti fratelli Eduardo Passarelli e Pasquale De Filippo
Titina che eredita dai De Filippo la mascella quadrata, fra Eduardo e Peppino

Ma il talento procreativo di Eduardo Scarpetta non si ferma qui e mette su un’altra famiglia in un appartamento adiacente con la nipote della moglie, Luisa De Filippo, che sarà madre di Titina Eduardo e Peppino, che Scarpetta non riconoscerà mai e che si farà chiamare da questi altri figli sempre con l’appellativo di zio. I tre ragazzi sono il vero nuovo che avanza e nel film sono raccontati come una importante traccia narrativa fra le vicende dell’esuberante capostipite. Per tutta la vita Eduardo De Filippo non volle mai parlare di Scarpetta come padre e si riferì a lui solo come autore teatrale. E quando suo fratello Peppino lo ritrasse spietatamente in un libro autobiografico, Eduardo gli levò il saluto per sempre. Poco prima di morire, intervistato da un amico scrittore, fu spinto a parlare: “Ormai siamo vecchi, è il momento di poterne parlare: Scarpetta era un padre severo o un padre cattivo?”. Eduardo rispose sempre alla maniera: “Era un grande attore”. 

Scarpetta fu un grande nel suo luogo e nel tempo, a teatro, quando il teatro era un’arte transitoria e fuggevole perché non c’erano i mezzi per immortalarlo, e sarà Totò che renderà famosi al grande pubblico, anche di altri luoghi e nei tempi futuri, le commedie di Scarpetta, anche se lo spettatore medio – quello distratto che vuole solo ridere, e i giovani di oggi – di Eduardo Scarpetta non sapranno più nulla. La sensazione è che il bell’affresco di Mario Martone sia un nostalgico omaggio, appassionato e bello, bene orchestrato e godibilissimo, e con un cast di eccellenti caratteristi; ma un omaggio fruibile solo da una ristretta cerchia di estimatori: i napoletani, ovviamente – non dimentichiamo che il film è parlato in napoletano stretto ed è sottotitolato – e poi la gente di teatro e gli intellettuali in genere; tutti gli altri, quelli esclusi da quella lingua e da quella cultura, quanto potranno apprezzare questo film? posso testimoniare che nell’intervallo una signora è andata via.

E ora come a teatro, personaggi e interpreti:

Eduardo ScarpettaToni Servillo (come sempre mai una sbavatura)
Rosa De Filippo, sua moglie – Maria Nazionale
(già cantante, si è data al cinema in età matura e subito è stata candidata ai David di Donatello per la sua interpretazione nel film “Gomorra” di Matteo Garrone)
Luisa De Filippo, nipote di Rosa e concubina di Scarpetta – Cristiana Dell’Anna
(che si è fatta notare in “Un posto al sole” e poi in “Gomorra – la serie”)
Nennella (Anna) De Filippo, sorellastra di Rosa e altra concubina di Scarpetta – Chiara Baffi
Mimì (Domenico) Scarpetta, primogenito – Roberto Caccioppoli
Vincenzo Scarpetta, unico erede artistico di Eduardo – Eduardo Scarpetta
(che non è un refuso e che come dice il nome è l’unico vero erede della famiglia di teatranti ed è certamente avviato alla fama e al successo; in tv è nel cast di “L’amica geniale” nonché protagonista di “Carosello Carosone”)
Titina De Filippo – Marzia Onorato
Eduardo De Filippo – Alessandro Manna
Peppino De Filippo – Salvatore Battista
Vincenzo Pantalena, secondo attore – Gianfelice Imparato
Rosa Gagliardi, prim’attrice – Iaia Forte
Adelina De Renzis, attrice giovane – Antonia Truppo
Mirone, servo tuttofare – Giovanni Mauriello (cantante fondatore insieme ad Eugenio Bennato e a Carlo D’Angiò del gruppo Nuova Compagnia di Canto Popolare)
Gabriele D’annunzio Paolo Pierobon (noto per “Squadra Antimafia” è stato anche Silvio Berlusconi nel trittico tv “1992-1993-1994”, qui è un viscido vate immerso in un’atmosfera decadente e morbosa, come tutti lo abbiamo sempre immaginato)
Irma Gramatica, prim’attrice – Lucrezia Guidone (che interpreta la protagonista di “la figlia di Iorio” che però D’Annunzio aveva scritto per la sua amata Eleonora Duse che dovette rinunciare per motivi di salute)
Lyda Borelli, attrice giovane – Elena Ghiaurov (nei panni della diva del muto che debuttò in teatro proprio con “La figlia di Iorio”)
Benedetto CroceLino Musella (che ha impersonato Renato Pozzetto da giovane in “Lei mi parla ancora” di Pupi Avati, qui dà umanità al filosofo critico ideologo e storico che è la bestia nera di tanti studenti di liceo classico)
Salvatore Di Giacomo, scrittoreRoberto De Francesco (caratterista di lungo corso che ha avuto la prima formazione teatrale al Teatro Studio di Toni Servillo)
Ferdinando Russo, scrittore – Giovanni Ludeno (che ha avuto insperata visibilità quando il suo personaggio secondario nel trittico tv “1992-1993-1994” ha preso spazio per sostituire il personaggio interpretato da Domenico Diele che è finito in prigione per avere causato la morte di una donna mentre era alla guida di un’auto con la patente già sospesa per uso di stupefacenti)
Presidente del tribunaleGiorgio Morra
Giudice istruttore Nello Mascia
Zio PasqualinoTommaso Bianco

Il film otterrà certo altri premi ai prossimi David di Donatello e Nastri d’Argento e anche se al momento si piazza appena fra i primi dieci maggiori incassi di questa esangue stagione post lock down, fatta la tara del green pass, personalmente prevedo un maggiore successo nei passaggi televisivi del prossimi anni.