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La Teoria del Tutto, dai buchi neri agli Oscar

E’ una storia d’amore. E’ la biografia del grande cosmologo affetto da atrofia muscolare progressiva ma è soprattutto una grande edificante storia d’amore e non potrebbe essere altrimenti dato che la sceneggiatura è tratta dal romanzo dell’ex moglie di Stephen Hawking, Jane Wilde, e che racconta lo scienziato dal suo punto di vista di ragazza innamorata sin dal college che decide di sposarlo e di dedicargli la sua vita nonostante – o forse proprio perché – al giovane Stephen sono stati dati un paio d’anni di vita: un punto di vista assai interessante che però nel film, e non so nel romanzo che non ho letto, non viene scandagliato abbastanza perché poco edificante ancorché realistico: l’amore da crocerossina alla “io ti salverò” che ha una scadenza sulla confezione, la morte del consorte. Se a Jane avessero detto che Stephen sarebbe vissuto molto a lungo superando tutte le dolorose tappe della malattia che oltre a togliergli l’uso del suo corpo (ma non del membro virile che è un muscolo involontario e non risponde quindi al cervello, come argutamente Hawking rispose a un amico curioso dell’argomento) gli ha infine tolto l’uso della parola, probabilmente la nostra eroina avrebbe detto: mi dispiace ma no grazie. Invece hanno avuto tre bei figli e una lunga e appassionata e dolorosa e troppo lunga vita coniugale che alla fine ha naturalmente esaurito, senza drammi e senza rancori, il flusso di un amore che aveva altre e più tragiche aspettative. E oggi Stephen Hawking è ultraottantenne.

Detto questo il film è molto bello e proprio grazie alla sua trama da love story tiene sempre desta l’attenzione su questo genio dell’universo e dei buchi neri che attraversa tutta la sua malattia non senza una forte dose di ironia. Eddie Redmayne, che finora è stato utilizzato come comprimario e antagonista cattivo e in queste vesti lo si può rivedere nel fantasy “Jupiter”, è un interprete sorprendente e da studente non bello e occhialuto ma simpatico si trasforma nell’astrofisico su sedia a rotelle che tutti più o meno conosciamo con sorprendente adesione mimetica: Golden Globe come miglior protagonista in un film drammatico e candidato all’Oscar e ad altri premi ancora. E si sa che le disabilità portano sempre bene ai loro interpreti e cito a memoria: “Profumo di Donna” con Vittorio Gassman poi rifatto da Al Pacino, “Qualcuno Volò sul Nido del Cuculo” con Jack Nicholson, “Rain Man” con Dustin Hoffman, “The Elephant Man” con John Hurt, “Ragazze Interrotte” con Angelina Jolie, “Il Mio Piede Sinistro” con Daniel Day Lewis, “Buon Compleanno Mr Grape” con Leonardo DiCaprio, “Forrest Gump” con Tom Hanks, “A Beautiful Mind” con Russell Crowe, senza dimenticare “Figli di un Dio Minore” sui non udenti, e l’interessante “The Sessions” film indipendente da festival, e l’antesignano “Freaks” in bianco e nero del 1932. E chi ricorda altri titoli li aggiunga nei commenti.

Candidata al Golden Globe che le è sfuggito ma anche all’Oscar che ancora non si sa è Felicity Jones che col suo faccino carino ma da donna comune interpreta la coraggiosa moglie a scadenza in un ruolo assai più difficile perché fatto di sole sfumature e palpitazioni quasi da dietro le quinte. Annoto che il film ha vinto il Golden Globe anche come miglior film drammatico e per le musiche originali di Johann Johannsson, categorie per le quali è altrettanto candidato agli Oscar. Completano il cast nei ruoli principali: David Thewlis come professore e mentore, Charlie Cox come dolce vedovo maestro di musica e poi nuovo amore dell’esausta moglie, Emily Watson come la di lei madre. La regia è di James Marsh e altri premi arriveranno.