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Resistance – La Voce del Silenzio

Il cinema 2020 in epoca pandemia. Film che escono direttamente su piattaforme on line e in televisione ma a prezzi meno competitivi del cinema dove c’erano le giornate a metà prezzo, le giornate sconto donne, le riduzioni studenti e anziani, così che un film sul web o in tv, vedi Sky Prémière che offre a pagamento i film che avremmo dovuto vedere in sala, costa anche più che al cinema. Ma pandemia o no sembra questo il futuro che si delinea, comodamente seduti in casa propria, senza prendere freddo, mettersi nel traffico, trovare parcheggio, fare file, sopportare i maleducati o fare nuove conoscenze – socializzare. Che è quello che ormai accade per la musica: si clicca, si scarica o si ascolta in streaming e solo i collezionisti o i nostalgici vanno nei negozi a comprare i dischi o cd o dvd che dir si voglia.

Questa la sorte di questo interessante e curioso film. Uscito negli Stati Uniti a fine marzo contemporaneamente nelle sale e online, in piena pandemia, resiste nelle sale per due settimane piazzandosi al primo posto negli incassi, prima che i cinema vengano chiusi; da noi arriva a giugno direttamente on demand, e adesso a fine anno, consumato il suo percorso commerciale è ora in chiaro nel pacchetto Sky, mentre altri film dello stesso distributore, Vision Distribution, e in generale altri film on demand, sono ancora a pagamento perché più richiesti dal pubblico che, come sappiamo, non sempre premia la qualità.

No talking! Jesse Eisenberg on playing Marcel Marceau | Saturday Review |  The Times
Marcel Marceau e Jesse Eisenberg che lo interpreta

Il film non ha grandi star. Ha in Jesse Eisenberg un protagonista di gran qualità, arrivato alla notorietà come interprete di Mark Zuckerberg, padrone di Facebook e contorni, in “The Social Network” di David Fincher del 2010; Jesse Eisenberg (che per altro non ha un profilo Facebook) non è (ancora?) una star capace di fare cassetta – come si diceva una volta, quando si metteva il contante nel cassetto – e il film è un’opera corale, un film che ancora una volta parla di olocausto e contorni: ebrei, nazisti, persecuzioni, separazioni, abbandoni, perdite, nascondigli, espedienti, eroismi, fallimenti; argomenti sempre necessari da raccontare per tenere viva la memoria su quegli orrori, perché la società moderna ancora esprime nelle sue pieghe il nazi-fascismo; e sono altresì argomenti sempre graditi in America, seconda nazione dopo Israele a contare la popolazione ebraica più numerosa e influente, nazione che co-produce il film insieme a Francia, Regno Unito e Germania.

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Matthias Schweighöfer interpreta Klaus Barbie, nel riquadro

Coproduzione complessa se fra produttori (coloro che mettono o reperiscono i soldi) e produttori esecutivi (che amministrano i fondi e seguono tutte le fasi della produzione) si contano ben 23 individui, fra cui spicca il nome dell’attore tedesco Matthias Schweighöfer che interpreta il nazista Klaus Barbie, il Boia di Lione. Ci sono un paio di modi in cui un attore può co-produrre il film che interpreta: o mette i soldi, appunto, o lavora gratuitamente e la sua paga non goduta viene considerata come capitale produttivo; nello specifico non si sa com’è andata ma in ogni caso l’impegno dell’attore è notevole.

La storia racconta del giovane ebreo di origine polacca Marcel Mangel che vuole fare l’attore ma la guerra lo travolge. Modificando abilmente il cognome sul passaporto, che all’epoca erano scritti a mano, da Mangel in Marceau, insieme al fratello Alain e le sorelle Emma e Mila, con le quali formeranno anche delle coppie sentimentali, si uniscono alla resistenza con lo specifico compito di nascondere i bambini orfani ebrei. La sua empatia, e la sua simpatia, saranno molto utili alla causa ed è proprio in quel periodo che mette a punto gli elementi essenziali della sua pantomima, con l’espressione dei sentimenti e delle azioni nel forzato silenzio della clandestinità.

Jesse Eisenberg, ebreo praticante che parla anche il polacco, lingua originaria della sua famiglia, come il personaggio Marcel, è l’interprete ideale e aderisce con grande sensibilità. Nella coralità del film spiccano anche i francesi Clémence Poésy che è Emma, l’amore di Marcel, e l’attore di origine ebraica-tunisina Félix Moati che interpreta Alain, il fratello maggiore di Marcel; l’ungaro-slovacca Vica Kerekes è Mila, sorella di Emma e amore di Alain; l’ungherese Géza Röhrig, anch’egli ebreo praticante, è nel ruolo di Georges Loinger, cugino di Marcel e Alain e figura di spicco della resistenza francese, che prima di morire all’età di 108 anni nel 2018 ha aiutato l’autore del film con le sue ricerche; come portavoce dei bambini c’è Elsbeth, interpretata dall’adolescente inglese Bella Ramsey che ha debuttato nel televisivo “Trono di Spade” come Lyanna Mormont; l’austriaco Karl Markovics è il padre di Marcel e Alain; la tedesca Alicia von Rittberg interpreta Regina la moglie del nazista; e, in ruoli minori ma fondamentali, il venezuelano Édgar Ramírez, protagonista del precedente film dell’autore, e che ha anche interpretato Gianni Versace nella miniserie tv “American Crime Story 2” che ne ricostruisce il delitto, è qui il padre di Elsbeth nell’antefatto; mentre il veterano Ed Harris è il generale americano George Patton che rende onore all’arte e al coraggio del giovane Marcel Marceau.

Scrive e dirige il venezuelano Jonathan Jakubowicz, discendente da famiglia ebraico-polacca e scrittore di successo, qui al suo terzo film che ha già incassato il German Film Award e sicuramente lo vedremo agli Oscar 2021. Premiazione che per necessità si apre anche ai film non usciti in sala, “Ma solo per quest’anno.” avverte il presidente dell’Accademia David Rubin, perché sia chiaro che l’Oscar non può andare ai film prodotti solo per la distribuzione on demand, vedi le grosse produzioni Netflix che fa uscire i suoi film in sala per un breve periodo solo per aggirare il divieto e poter concorrere; “L’Accademia crede fermamente che non vi sia modo migliore per vivere la magia dei film che vederli in una sala cinematografica. Il nostro impegno in tal senso è invariato e costante.” continua Rubin: più chiaro di così. Anche io sono per la magia del buio in sala, ma restiamo a vedere cosa ci riserva il futuro. Intanto è certo il prossimo Oscar indosserà la mascherina sanitaria!

“Grace di Monaco” e di rotocalchi

Non ci sono più i bei filmoni biografici di una volta, come quello sulla vita di Edith Piaf per intenderci, diretto dallo stesso Olivier Dahan che con questo film fa il bis del biopic come pomposamente dicono gli americani. Questo tipo di biografie cinematografiche, che non possono più definirsi tali se per “biografia” si intende il racconto di una vita, scelgono di concentrare il racconto attorno a un momento specifico, vedi “Hitchcock” che parla della messa in opera di “Psycho” o “Marilyn” che s’incentra sulla lavorazione di “Il Principe e la Ballerina”: dunque sono solo capitoli di una biografia. Il lato positivo è che si va più nel dettaglio della vicenda che si è scelto di raccontare e ci si allontana dal pericolo di fare un film superficiale pur di coprire l’intera vita di un personaggio. Aprendo il 64mo Festival di Cannes questo film ha lasciato molti molto perplessi, e a ragion veduta. Racconta un momento cruciale per la vita di Grace che da un lato è tentata dal suo amico Hitchcock che le propone il copione di “Marnie” e dall’altro si trova intrappolata nel suo ruolo di principessa non ancora amata dai monegaschi perché lei stessa non si è veramente calata nel ruolo né resa conto di cosa il ruolo comporti. Coincidentalmente Ranieri di Monaco è in gravissime difficoltà col governo francese presieduto da De Gaulle che vuole annettere il principato alla Francia. Il film dunque ci racconta un passaggio tragico, fatto di intrighi di palazzo e drammi personali, con Grace messa davanti alla scelta della sua vita: diventare davvero “la” principessa e scegliere di salvare il principato e anche il suo matrimonio da favola. Favola che, scopriamo, non è così favolosa come ce l’hanno raccontata i rotocalchi dell’epoca: Ranieri ha sposato Grace Kelly non per amore ma perché al principato serviva una principessa patinata e Padre Tucker (un Frank Langella un po’ sottotono) consigliere spirituale di Grace, rivela d’essere più che un confessore, un vero manipolatore. Intorno poi si muovono figure come Aristotele Onassis che avendo interessi economici nel principato agisce come spregiudicato consigliere politico di Ranieri e la sua compagna Maria Callas relegata al ruolo di onesta confidente di Grace. Insomma, il pacchetto prevede la favola della borghesuccia americana che diventa una vera principessa, come nei sogni delle ragazze d’oltreoceano, dato che gli americani essendo progenie di poveri emigrati europei non hanno principi e principesse in proprio; e poi sfarzo di stucchi ori e specchi, acconciature gioielli e abiti firmati, contorno di personaggi famosi che inevitabilmente figurano come macchiette di lusso, insistiti primi piani sulle lacrime di Nicole Kidman che pare essersi liberata dal fardello del botulino, il clamoroso falso storico dato che la crisi con la Francia era avvenuta anni prima dell’arrivo di Grace a Monaco, tenere scene familiari con i piccoli Alberto e Carolina che si chiedono perché mamma piange, scene da intrigo internazionale e sordide lotte familiari, un Ranieri di Monaco (il sempre ottimo Tim Roth) preoccupato solo del destino del suo principato e che guarda alla sua principessa solo come una sfavillante acquisizione mentre Grace si lacera l’anima per capire cosa vuole da lei la vita: un’intelligente sequenza a inizio film ce la mostra disperata alla spericolata guida della sua macchina sportiva sui tornanti del principato con mancato incidente, lanciando per noi un’occhiata sul futuro incidente in cui realmente Grace di Monaco perderà la vita. Il film nell’insieme è gradevole e scorre bene anche se la sensazione è quella di una versione cinematografica dei rotocalchi d’epoca ma con l’aggiornamento di uno sguardo sul lato oscuro. Comprimari di lusso: Roger Ashton-Griffiths come credibile Alfred Hitchcock, Robert Lindsay come Aristotele Onassis e Paz Vega come Maria Callas alla quale non  mancano di far cantare l’aria famosa, Derek Jacobi come divertito e compiaciuto maestro cerimoniere, Parker Posey come gelida e intrigante segretaria di palazzo. In conclusione: un film che può rilanciare la carriera appannata di Nicole Kidman e che potrebbe farle raccogliere qualche candidatura a qualche premio qua e là, ma che rimane un film da pomeriggio con le amiche pensionate che da giovani sognavano sulla Grace patinata, o da serata da pensionati a casa davanti alla tivvù con un buon bicchiere di vino.