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Eisenstein in Messico, e sorprendentemente un Greenaway divertente

Peter Greenaway non è mai stato un regista per tutti e men che mai per tutte le stagioni: pittore e scrittore filosofo, i suoi film sono tutti composizioni di scomposizioni pittoriche o architettoniche al limite dell’astrattismo, con forti riferimenti alla numerologia, l’alfabeto, l’esoterismo, il sesso e la morte. Affascinante e irritante insieme, spesso nei suoi film la forma prevarica il contenuto e il racconto è solo un puzzle da ricomporre. Personalmente l’ho sempre amato perché comunque è diverso da chiunque altro e anche se sono uscito dalle sue visioni pieno di dubbi altrettanto mi è sempre rimasta un’ammirazione estatica per tanta precisione e bellezza, anche orrorifica, messa in scena.
Con quest’ultimo film, distribuito in lingua originale con Eisenstein che parla un inglese duro “alla russa” e la sua guida Palomino più morbido “alla messicana”, scopro che Greenaway torna alle sue passioni originarie: nel 1964, ventiduenne, espone per la prima volta i suoi lavori nella mostra ‘Ejzen’tejn at Winter Palace’, allestita alla Lord’s Gallery di Londra. Mentre come scrittore si ispira a Italo Calvino e Jorge Luis Borges. Detto questo voglio annotare che come cineasta, oltre a mettere in scena tutto il suo immaginario, ha sempre avuto un’attenzione insistita per il nudo maschile integrale – per la gioia di ammiratrici e ammiratori Ewan McGregor è sempre nudo in “I racconti del cuscino” – e in questo film si spinge addirittura a mostrare un’erezione in campo lungo.
Greenaway ammira Eisenstein perché è un suo avo, un cineasta geniale e visionario che adesso racconta in un film per la prima volta comprensibile a tutti pur senza tralasciare la sua impronta stilistica che qui si fa da parte per dare risalto al racconto e ai personaggi che racconta: Serghei Eisenstein, al massimo del suo pur traballante successo, è un cialtrone di lusso, un clown ilare e triste insieme, un pagliaccio nudo che mostra il suo culone e parla col suo pene, interpretato dal disinvolto e simpaticissimo finlandese Elmer Bäck, 33enne come lo stesso Eisenstein in questi dieci giorni che gli sconvolsero la vita a parafrasare “I dieci giorni che sconvolsero il mondo”, il titolo con cui fu distribuito fuori dalla Russia il suo “Ottobre” sulla rivoluzione bolscevica del 1917 che mise fine all’impero zarista. Il colto professor Palomino Cañedo che gli fa da guida e da mentore e lo introduce nel Messico intimo e misterioso del cattolicesimo panteista e con un forte culto della morte e dei morti (gli stessi che festeggiavo io da bambino prima che questo rito antico fosse soppiantato dal più commerciale Halloween) è interpretato con ancor maggiore disinvoltura genitale dal fascinoso Luis Alberti che lasciando a casa moglie e figli s’infila nel letto del sessualmente frustrato Serghei.
Per i cultori di Greenaway finalmente un film leggero e divertente, per i suoi detrattori un film leggero e divertente, finalmente.