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Vivi e lascia morire – la prima volta di Roger Moore

1973, è venuto il momento per Roger Moore di indossare i panni di 007 dopo essere stato opzionato sin dall’inizio. Finalmente è libero dagli impegni in serie tv che l’hanno reso noto, a cominciare da “Ivanhoe” che in Italia venne trasmessa di pomeriggio nella “Tv dei ragazzi”, e poi la longeva “Il Santo”, serie di spy story dai romanzi di Leslie Charteris dove il protagonista Simon Templar è detto “Il Santo” perché firma le sue azioni lasciando un santino con un pupazzetto aureolato. Da uno degli ultimi episodi in cui il detective inglese fa coppia con un petroliere texano, nasce lo spunto della successiva serie, “Attenti a quei due” dove Roger Moore farà coppia e scintille con Tony Curtis che, dicono le cronache, sul set diede il peggio di sé tanto da far dire a Moore, in privato: “Con Tony Curtis mai più in vita mia!”, mentre in pubblico dichiarò: “”Tony e io abbiamo avuto un buon rapporto dentro e fuori dal set, siamo due persone molto differenti, ma condividiamo un certo senso dell’umorismo”. Di fatto, nonostante la serie abbia avuto un clamoroso successo in Europa (meno negli USA) fu chiusa dopo la prima stagione, anche perché Moore nel frattempo voleva impersonare 007 prima che fosse troppo tardi: infatti aveva già 45 anni contro i 30 del predecessore George Lazenby e i 32 del debuttante Sean Connery. Ciò nonostante sarà lo 007 più longevo con 7 film nella serie ufficiale… dato che con uno 007 apocrifo e a tradimento Connery raggiungerà la stessa quota.

Roger Moore arriva dunque a James Bond che è già una star, e questo gli consentirà di avanzare delle richieste per differenziare il suo 007 dai precedenti, posizione ben condivisa dalla produzione che voleva lasciarsi alle spalle l’inciampo George Lazenby; Moore pretese e ottenne di cancellare alcuni caratteri distintivi del primo 007 e per primo sparisce il Martini shakerato non mescolato; ma soprattutto il suo Bond acquista un’ironia più leggera e ammiccante, tanto che questo primo film Bond-Moore cambia completamente registro e diventa più simile a una commedia brillante che a un thriller d’azione, e quando le scene d’azione sono richieste, spettacolari inseguimenti trans-genere fra automobili e motoscafi, sono sequenze che rimangono principalmente brillanti, spinte quasi al comico ridicolo con l’introduzione del buffo sceriffo interpretato dal caratterista Clifton James, un personaggio talmente forte e ben riuscito da dargli la fama e il piacere di riproporre questa maschera in altri film. Così, spingendo il film sul brillante passa in secondo piano l’azione in cui un motoscafo compie un salto di ben trenta metri che ne varrà l’inserimento nel Guinness dei Primati, ed è un peccato.

Anche i gadget segreti si fanno sempre più arditi, fino a sfiorare il ridicolo nei prossimi film Bond-Moore per poi essere ridimensionati; qui vengono sfoggiati un orologio da polso che è un potente magnete, tanto da attrarre oggetti delle dimensioni di un proiettile e di muovere quelli di dimensioni maggiori, inoltre ha la ghiera rotante che si trasforma in seghetto; poi ci sono ricetrasmittenti nascoste in un accendino, in una spazzola, e in un flauto di canna; c’è anche uno specchietto retrovisore sparadardi e uno spaventapasseri voodoo attrezzato di telecamere e mitragliatrice. C’è tanta di quella roba strana, sin dai film precedenti, che a inizio film “M” chiede a Bond che sta armeggiando con una macchina elettrica per il caffè: “E’ tutto quello che fa?”. Un’altra battuta tipica dello spirito del film è quando Bond usa l’orologio-magnete per tirare giù la cerniera sulla schiena della Bond Girl: “Che tocco delicato!” dice lei, “E’ solo magnetismo, cara” risponde lui. Battute brillanti apprezzabilissime, quando stemperano la tensione, come nei film precedenti, ma che rischiano di diventare stucchevoli quando tutto il film è sullo stesso tono.

Più interessante è la collocazione dell’azione in Jamaica. Nel romanzo il cattivo era un trafficante d’oro, nel film diventa un narcotrafficante che, al confronto col cattivo del film precedente che era un bioterrorista che voleva mettere sotto scacco il mondo intero, diventa quasi un cattivo da quartiere e ridimensiona l’impegno di James Bond. L’interesse sta nel fatto che qui per la prima volta il cattivo è un nero, Mr Big, che ha come braccio destro il temibile Tee Hee il cui braccio destro, mangiato da un coccodrillo, è armato di terribile tenaglia; conclude il terzetto dei neri cattivi il Baron Samedi, un sacerdote voodoo molto pericoloso; accompagna James Bond la nera Rosie Carver come agente CIA doppiogiochista che 007 si porta a letto in una delle (fino ad allora) rare scene di effusioni inter-razziali: termine assai esplicito quantomai errato, dato che non si tratta di razze diverse ma di colori diversi. Vale la pena ricordare che il primo esempio di amore inter-colore lo abbiamo nell’Otello di Shakespeare realizzato al cinema da Orson Welles nel 1951; viene poi “West Side Story” nel 1961 e “Indovina chi viene a cena?” nel 1967, tanto per citare i film più famosi. Ma l’amore “inter-razziale” benché ormai sdoganato nella cinematografia internazionale, rimane nella società statunitense un tabù, come dimostrano gli irrisolti conflitti odierni in cui i neri sono ancora percepiti come “altro” in una società in ampia parte gestita da forze dell’ordine in cui serpeggiano ancora sentimenti, ancorché irrazionali, di suprematismo bianco.

Questo 007 cavalca la sua epoca, i primi anni ’70, inserendo ampi richiami alla blaxploitation, fusione dei termini black e exploitation (sfruttamento), genere di film a basso costo per neri realizzati da neri, nati dalla volontà di raccontare le rivolte del decennio precedente e diventato presto un genere ben preciso, in cui era importante la colonna sonora con musiche soul o funky, lo slang, le scene di sesso e i colori sgargianti con cui erano vestiti i protagonisti; genere che, visto il successo, le major di Hollywood si affrettarono a produrre. La blaxploitation ebbe un sottogenere al femminile, con eroine sexy e forti, di cui interprete di punta fu la Pam Grier che in tempi recenti Quentin Tarantino riporta sullo schermo nel suo omaggio al genere “Jackie Brown”. “Vivi e lascia morire” dedica alla blaxploitation una buona metà del film, data la sua ambientazione giamaicana, e i cattivi neri vestono bene ma con colori sgargianti. Ampio spazio è dato anche all’esotismo delle danze voodoo che diventano quasi scene da musical e il cattivone Mr Big più che intimorire è quasi ridicolo con quella sua dipendenza dai tarocchi di Solitaire.

Una Vestale, dipinto di Jean Raoux, 1677-1734

La Bond Girl, chiamata pedissequamente Solitaire perché fa i solitari con le carte, oltre a essere un cuore solitario, stavolta è una bambolina bianca al misterioso servizio (ampie lacune nella sceneggiatura) del cattivo nero: la ragazza, sempre fantasiosamente abbigliata e truccata è una sorta di sacerdotessa vergine che discende direttamente dalle fantasie erotiche di Ian Fleming: i suoi responsi dati con i tarocchi (ridicoli quando predicono l’immediato futuro quasi come una telecronaca in tempo differito) sono per Mr Big un vangelo ma per essere validi e credibili la ragazza deve conservarsi vergine: una sorta di superficiale ed esotico refuso delle antiche sacerdotesse dedicate a Vesta e al suo fuoco sacro. Ma una sacerdotessa vergine con James Bond 007 in giro, quanto può durare?

La interpreta la quasi debuttante inglese Jane Seymour, 22enne con fascinosa eterocromia, occhi di colori diversi, che ha poi avuto una carriera altalenante con molte soddisfazioni in tv: la miniserie del 1988 “Ricordi di guerra” le valse l’Emmy Award; è stata poi “La Signora del West” dal 1993 al 2001. Nel 1983 era stata scelta come protagonista femminile di “Uccelli di Rovo” ma, avendo partorito da poco, in una scena di sesso con Richard Chamberlain rilasciò del latte dal seno, involontariamente, sul petto del collega che gridò allo scandalo, o licenziavano lei o se ne andava lui: senza minimamente voler essere omofobo, penso che la reazione scomposta dell’attore, all’epoca omosessuale non dichiarato al pubblico ma noto nell’ambiente, sia stata decisamente eccessiva, perché non si chiede il licenziamento di una collega per un incidente del genere.

Il cattivo pacioccone Mr Big è Yaphet Kotto, che sarà poi nel 1977 il dittatore Idi Amin Dada in “I Leoni della Guerra” di Irvin Kershner, e nel 1979 sarà nel cast dell’horror fantascientifico che ha ridisegnato il genere, “Alien” di Ridley Scott.

Del film resta da segnalare la canzone dei titoli di testa “Live and Let Die” che è del solista Paul McCartney: i “Beatles” si erano sciolti nel 1970. Come curiosità c’è da riportare che la graziosa agente francese con cui Bond è a letto a inizio film, nell’originale è italiana. Il regista è Guy Hamilton che al suo attivo avrà quattro 007 e una buona carriera senza voli pindarici ma all’onesto servizio dei film di genere; firmerà anche due gialli all star da Agatha Christie.

Roger Moore è stato il più brillante ironico e longevo 007 che, peraltro, mentre era impegnato nella serie non ha mai smesso di girare altri film. A 54 anni, dopo aver girato “Solo per i tuoi occhi”, voleva lasciare ma gli fu chiesto di sacrificarsi per “Octopussy, Operazione Piovra” perché in contemporanea Sean Connery stava tornando come 007 con l’apocrifo “Mai dire Mai” e non si poteva lasciare il prossimo film della serie e il confronto al botteghino a un debuttante. Negli incassi lo 007 di Roger Moore superò di poco lo 007 di Sean Connery, e sull’onda di questo successo Moore girò il suo ultimo Bond a 58 anni, “Bersaglio Mobile”, che in seguito ha criticato per le scene di violenza, lui che sin dall’inizio di quell’avventura aveva voluto uno 007 meno manesco e più charmant. Prima di morire di cancro nel 2017 aveva detto di apprezzare l’ultimo James Bond interpretato da Daniel Craig, tanto che gli sarebbe piaciuto tornare nella serie come cattivo. Resta di lui la memoria di un buono, animalista particolarmente noto per la sua battaglia al foie gras, che definiva “una malattia, non una prelibatezza” e che ha tolto il saluto agli amici che ne facevano ancora uso; si è anche impegnato per fare abolire l’impiego di animale nei circhi, ha supportato una raccolta di fondi per far rientrare 33 leoni nelle terre d’origine e ha chiesto anche alla Regina Elisabetta di sostituire la pelliccia d’orso dei copricapo delle guardie reali con una sintetica, proposta che ciclicamente venne ripresa dagli animalisti.

E’ dell’autunno 2019 la decisione della sovrana di non indossare più pellicce animali e anche le sue guardie avranno colbacchi sintetici, e non solo: un militare di religione Sikh ha potuto sfilare col suo turbante rituale, nel segno dei tempi che cambiano.

Nel box office USA del 1973 “Vivi e lascia morire” si piazzò ottavo, e sul podio c’erano “L’Esorcista”, “La Stangata” e “American Graffiti”. Nel box office italiano era al 21° posto mentre sul podio c’erano “Altrimenti ci arrabbiamo” con Terence Hill e Bud Spencer, “La Stangata” che conferma il 2° posto americano, e “Peccato Veniale” di Salvatore Samperi. Sarà primo solo nel Regno Unito.