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No Time to Die – l’ultimo 007 di Daniel Craig

Iron-Man è morto, Spider-Man è morto, Superman è morto (anzi no) e pure 007 non sta tanto bene. Che c’entra, viene da dire, 007 non è un super eroe con super poteri. Vabbè neanche Iron-Man era un vero super eroe ma, come Batman, un umanissimo eroe dotato di super gadget, tanto quanto 007, no? Ricordiamo la super valigetta sfoggiata da Sean Connery in “Dalla Russia con amore” (1963) che come la borsa di una Mary Poppins assassina conteneva di tutto e di più: un fucile con puntatore a infrarossi corredato di 20 caricatori, hai visto mai che restasse senza munizioni, e un coltello multiuso e addirittura 20 monete d’oro da collezione per pagare eventuali mazzette in modo discreto, e c’era anche un meccanismo che spruzzava gas lacrimogeno se qualcuno avesse cercato di aprirla impunemente. Sempre Sean Connery in “Operazione Tuono” (1965) sfoggia un comodissimo jetpack, zaino a razzo che fa volare via, che non è solo un gadget fantasy visto che le forze armate USA avevano sviluppato serie ricerche, poi abbandonate per l’instabilità dell’aggeggio; nonostante ciò la cronaca riferisce di un uomo con jetpack che volò sullo stadio all’apertura delle Olimpiadi di Los Angeles del 1984, mentre il 30 agosto del 2020 due aerei di linea comunicano alla torre di controllo dell’aeroporto di Los Angeles di avere rischiato la collisione con un ragazzo che volava in jetpack evidentemente annoiato di stare a casa causa pandemia. In “Octopussy” (1983) Roger Moore usa un semi sommergibile a forma di alligatore e un anello telecamera in “Bersaglio Mobile” (1985). In “Il domani non muore mai” (1997) allo 007 di Pierce Brosnan viene dato in dotazione un cellulare Ericsson (pubblicità esplicita) che fa quello che tutti gli altri cellulari dell’epoca non potevano ancora fare, visto che si poteva solo telefonare e mandare sms: analizza le impronte digitali, come il touch ID degli attuali smartphone, e mette in moto l’auto come oggi è possibile con una Tesla, ma in più fa cose che i nostri smartissimi smart non fanno ancora: è un teaser che apre anche serrature elettroniche. In “La Morte può attendere” (2002) lo 007 di Pierce Brosnan ha la famosa Aston Martin che diventa invisibile, auto che nei decenni e nei vari capitoli ha sfoggiato i più disparati gadget: un display radar già negli anni ’60, schizzava olio sulla strada, sedile a espulsione con paracadute incorporato e mitragliatrici che escono dall’alloggiamento dei fari anteriori, queste ultime sfoggiate ancora in questo ultimo film, insieme al rilascio di una miriade di sfere esplosive.

“No Time to Die” è il 25esimo film della saga e il quinto e ultimo interpretato da Daniel Craig, il quale avendo tenuto il personaggio per ben 15 anni è lo 007 più longevo, a dispetto dei sette film interpretati da Sean Connery e Roger Moore, girati in meno tempo però; una longevità dovuta più a ritardi e problemi vari che a una vera volontà produttiva, e c’è da dire che Craig si era davvero stufato di interpretare 007 tanto che riteneva il suo quarto, “Spectre” (2015) il suo addio al personaggio. A fine anno la produzione aveva annunciato che la lavorazione di un quinto 007 con Daniel Craig sarebbe partita l’anno successivo, mentre l’interessato rilasciava questa dichiarazione: “Mi taglierei le vene piuttosto che farne un altro” aggiungendo che avrebbe ceduto solo per soldi. La produttrice Barbara Broccoli aveva perciò rilanciato: “Io spero di andare avanti con Daniel Craig. Credo che sia un attore grandioso, e ovviamente non lo penso solo io, ma anche il pubblico. Farò tutto ciò che è in mio potere per farlo restare.” E per farlo restare pare che gli abbia offerto una cifra spaventosa o vergognosa o favolosa: l’aggettivo dipende dallo stato d’animo di ognuno.

Nel frattempo però, in caso Daniel Craig avesse davvero rinunciato, la produttrice aveva contattato Tom Hiddleston (che ha spopolato come Loki il dio dell’inganno, fratello di Thor nei fumetti e nei film, e nel DNA fratellastro dello shakespeariano maestro dell’inganno Jago) per offrirgli sottobanco il ruolo di 007. Ma Daniel Craig si è preso i 150 milioni di dollari, una bazzecola, che la produzione gli offriva e Tom Hiddleston si è rifatto con la serie tv “Loki” prodotta dalla Disney.

Ci ricordano le cronache e le varie campagne pubblicitarie che i cinque film di Daniel Craig fanno parte di un racconto unico, un reboot che ovviamente ignora tutti i precedenti film per costruire una saga nella saga attorno al nuovo interprete che era già un attore quotato ma mai in un ruolo di protagonista assoluto; un racconto articolato in una serie di film che ridisegna una figura di 007 più in linea coi tempi, che è quella di umanizzare eroi e supereroi, rendendoli nevrotici, dubbiosi, sentimentali, tristi, cupi; con una debolezza che non è più solo il tallone di Achille o la kriptonite di Superman ma un umano sentire che li rende più simili a tutti quanti noi, noi che un tempo sognavamo con le loro prodezze ultra umane e che oggi ci compiacciamo di saperli fragili come chiunque di noi; le Bond Girl da decorative sono via via diventate femme fatale, per dirla alla francese, o dark woman per restare nell’inglese, action woman che combattono alla pari, e questo è più divertente, perché meno pensoso.

Lashana Lynch, la nuova 007, e Léa Seydoux, la moglie dell’ex 007

In questa nuova “serie Craig” – ma attenzione: qui siamo già a rischio spoiler, ovvero anticipazioni non gradite per chi non ama gli anglicismi – abbiamo appreso dettagli sull’infanzia di 007, lo abbiamo visto innamorato (007 innamorato?!) della spia Vesper Lynd e con lei penserà addirittura di mettere su casa lasciando il servizio; per la fortuna di noi spettatori e fan di 007 lei muore, e qui ci è allora toccato vederlo soffrire per la perdita, mentre è ovviamente sempre più pieno di dubbi circa la sua stessa esistenza come spia al servizio di Sua Maestà. In quest’ultimo episodio troviamo James Bond addirittura in pantofole perché ha finalmente lasciato i servizi segreti e non è più 007, si è sposato con la Madeleine che ha conosciuto nel film precedente ed è pure papà di una bella pargoletta: sembra di stare in un altro film. Se questa è la fine di 007 meglio ucciderlo in modo spettacolare.

Ovviamente sua moglie ha un passato segreto e il film ci svela la tragedia della sua infanzia nel troppo lungo antefatto, con un nuovo cattivo che si affaccia sull’orizzonte della bella e quieta famigliola costringendo l’aitante signorotto di campagna a tornare al servizio di Sua Maestà, dove però il numero 007 è stato riassegnato a un agente donna, e donna nera – nel rispetto delle quote di genere e etnia cui il cinema supermiliardario deve sottoporsi. Il Comandante Bond, come viene ora chiamato, lavora fianco a fianco con la nuova 007, duetta in scoppiettanti acrobazie a L’Avana con una Bond Girl agente CIA, gli muore fra le braccia l’amico Felix Leiter, storico agente CIA nella saga dall’inizio dei tempi e interpretato nel corso dei decenni da diversi attori: in quest’ultima “serie Craig” affidata a un attore nero. Ma la cosa più dolorosa per i fan di 007 è vederlo mentre fugge dai sicari con la figlioletta in braccio, come in quei tanti film di serie B in cui star di mezz’età – Nicholas Cage, Liam Neeson, Denzel Washington, Bruce Willis – fanno gli eroi solitari, spesso malgrado loro, e spesso per mettere in salvo belle figliole innocenti o ragazzini, per l’appunto. Davvero un altro film. Il problema, con la “serie Craig”, è che i suoi capitoli sono talmente dilatati nel tempo – 2006 2008 2012 2015 2021 – che è umanamente impossibile ricordare tutti i dettagli e i raccordi per godere appieno l’arco dell’intero racconto.

Il regista Cary Fukunaga con i protagonisti, alle loro spalle la città Matera che diventa un sorprendente scenario per le mirabolanti scene con la Aston Martin

Per quest’ultimo film il ritardo si è prima accumulato per la definizione della sceneggiatura che procedeva di pari passo con la scelta del regista e del resto del cast. Nel frattempo Kenneth Branagh si era mostrato interessato al ruolo del nuovo cattivo dicendosi ispirato dall’interpretazione di Javier Bardem in “Skyfall”, che fu davvero notevole, e rilasciò questo dichiarazione: “Credo che per un attore sia sempre fantastico un ruolo del genere. Sono un profondo conoscitore dei villain di James Bond, ma non è un ruolo facile. Il pubblico vuole la massima complicazione possibile e i villain di Bond sono sempre stati shakespeariani.” Shakespeariani e, secondo la nuova tendenza, anche filosofi e pensosi e prolissi, personaggi così verbosi e profondi da essere ormai ambiti da attori di rango.

Si è poi saputo che la sceneggiatura si sarebbe ispirata non più agli scritti originali di Ian Fleming, ormai sfruttati tutti a meno di non fare un remake, e il debutto di Daniel Craig con “Casino Royale” è uno di questi; ma si è preso il romanzo del 2001 “I sogni non uccidono” di tal Raymond Benson, un americano appassionato di 007 che negli anni Ottanta aveva pubblicato un saggio su James Bond. La Ian Fleming Publication, la casa editrice britannica che si occupa di amministrare l’eredità letteraria dell’autore, lo prende sotto la sua ala protettrice e lo mette a scrivere, insieme ad altri sconosciuti a formare uno 007 dream team, nuovi romanzi della serie. E nel frattempo siamo arrivati al 2019: tic tac, tic tac, tic tac… il tempo passa e l’immane sconosciuta catastrofe chiamata Covid-19 si avvicina.

Oltre ad avere un romanziere americano alle origini della sceneggiatura, che come sempre poi diventa un’opera a sé, anche il regista sarà per la prima volta un americano, Cary Fukunaga, di padre giapponese e madre svedese, promettente giovanotto sconosciuto al grande pubblico ma non agli addetti ai lavori, con tre sole regie all’attivo fra cui il più noto è “Jane Eyre” del 2011, dunque un regista che sa anche esplorare il lato delicato dei sentimenti; regista delle miniserie tv “Maniac” di cui è anche ideatore e della prima stagione di “True Detective”, ed è sceneggiatore di molto altro fra cui il primo capitolo del cinematografico “It” dal romanzo di Stephen King. E’ stato lui a offrirsi alla produzione e, superando in corsa vari altri nomi, ha dato una svolta alla sua carriera dirigendo un film molto complesso, che va dalle scene adrenaliniche magistralmente dirette a quelle drammatiche e intimistiche dove la recitazione conta più dell’azione. Non resta che tenerlo d’occhio aspettando la sua prossima regia, o produzione tv.

Le dolenti note sul cattivo. Col fantasioso nome di Lyutsifer Safin che fa ovviamente pensare a Lucifer, e indossando una maschera (ma come mai da geisha? funziona nell’impatto visivo ma non è giustificata) perché sfigurato (e ci crediamo chissà che orrore mentre alla fine è solo butterato) sconvolge l’infanzia della bambina Madeleine per poi tornare a perseguitarla da adulta. Kenneth Branagh non è neanche stato preso in considerazione e per un po’ avevano pensato a farne una cattiva interpretata da Helena Bonham Carter, ottima ipotesi direi, o in alternativa maschile un altro inglese di rango, Mark Strong, altra ottima ipotesi; poi probabilmente per le suddette quote etniche si è fatto il nome del marocchino-franco-americano Saïd Taghmaoui; ma a quel punto, arabo per arabo, si è fatto avanti il nome dell’egiziano-americano Rami Malek portatore di un premio Oscar per la sua interpretazione di Freddy Mercury in “Bohemian Rapsody”. Le mie dolenti note sono che Rami Malek non c’entra niente. Primo perché è fuori parte essendo troppo giovane: l’attore è di soli quattro anni più grande di Léa Seydoux, sono praticamente coetanei, in modo sfacciato anche visivamente, ed è improbabile credere che Lyutsifer fosse già adulto, o quantomeno un adolescente ben piazzato, quando ha conosciuto la Madeleine bambina: quando nello spettatore si infrange la sospensione dell’incredulità la magia dello spettacolo è finita. Poi, io personalmente, credo che Rami Malek sia un attore sopravvalutato che non meritava neanche l’Oscar: quell’anno, il 2019, c’erano in corsa Christian Bale per “Vice – L’uomo nell’ombra”, Bradley Cooper per “A Star Is Born”, Willem Dafoe per “Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità” e Viggo Mortensen per “Green Book”. Non che Malek non sia un bravo attore, ma a mio avviso manca del fascino e del magnetismo dei grandi interpreti, quelli e quelle che con una sola inquadratura riempiono lo schermo, e affidargli l’ultimo iconico cattivo della carriera di James Bond-Daniel Craig (dopo Mads Mikkelsen, Chistophe Waltz e Javier Bardem) significa ridurre ai minimi termini l’impatto di questo cattivo sull’immaginario del pubblico: l’attore fa del suo meglio, che non è il meglio che c’è.

Torna nel cast con una sola scena simil Hannibal Lecter, ma che ci rinfranca, il cattivo Ernst Stavro Blofeld dell’austriaco Christophe Waltz. Torna dopo l’episodio precedente la francese Léa Seydoux nel ruolo di Madeleine oggi signora Bond. Tornano nei loro ruoli di questa “serie Craig”: Ralph Fiennes come M, Ben Winshaw come Q, Naomie Harris come miss Honeypenny mulatta, Rory Kinnear come braccio destro di M, il nero Jeffrey Wright come agente CIA Felix Leiter. Le new entries sono: Lashana Lynch come nuova 007, Ana De Armas come agente CIA a L’Avana, Billy Magnussen come altro CIA e altro ancora, lo svedese David Dencik è lo scienziato russo Valdo Obruchev e il franco-algerino Dali Benssalah è un tipaccio con un occhio elettronico.

007: elenco completo film | Popcorn Tv

Il film sarebbe dovuto uscire nell’aprile 2020 ma causa pandemia l’uscita è stata rimandata a data da destinarsi, poi fissata per il novembre dello stesso anno; per quest’altra data in autunno fu lanciato un nuovo trailer ma a causa del perdurare della situazione l’uscita fu di nuovo posticipata all’aprile 2021. La stampa comincia a rumoreggiare circa l’uscita direttamente sulle piattaforme streaming, forse anche per forzare la mano agli interessati, i quali però smentiscono categoricamente. Erano stati spesi troppi soldi: le cifre che circolano, sempre al ribasso perché tante voci sfuggono ai calcoli, si aggirano sui 250 milioni di dollari per la produzione (inclusivi dei 150 del protagonista?) più un altro centinaio per la promozione su scala mondiale. Dall’aprile 2021 l’uscita si sposta ancora all’autunno successivo e con l’occasione si è pensato di rigirare le scene che contenevano prodotti commerciali come sponsor, prodotti che nel frattempo erano stati superati per innovazione tecnologica o per moda. Finalmente il film esce nelle sale di quasi tutto il mondo, eccetto l’Australia in cui si registra una nuova ondata di contagi con conseguenti restrizioni da parte del governo, e lì se tutto andrà bene il film uscirà a novembre.

Altro allarme spoiler! Daniel Craig, anche coproduttore per meglio controllare tutta l’impresa, per evitare future tentazioni in centinaia di milioni di dollari, ha preteso e ottenuto che alla fine del film James Bond morisse sacrificandosi per la famiglia e per l’umanità, come fanno i veri grandi eroi cinematografici. Lasciando alla signora Broccoli e associati un nuovo problema che è insieme un’opportunità: l’impresa 007 deve continuare e non si tratta più di sostituire l’attore nel ruolo di James Bond, ma creare dal nulla un nuovo 007 con differente identità. Qui abbiamo avuto un assaggio con Nomi (senza cognome) la 007 di Lashana Lynch che ha scarsissime probabilità di mantenere il ruolo perché non è un nome di punta. Tom Hiddleston è stato bruciato, e Barbara Broccoli ha dichiarato: “Io dico sempre che ci si innamora di una persona alla volta. Una volta uscito ‘No Time to Die’ passerà un po’ di tempo e ci dedicheremo in seguito agli affari del futuro. Ma per ora non possiamo pensare a nient’altro che a Daniel. Desideriamo che lui si goda il suo momento.” Bugiarda, il franchising miliardario non dorme mai. E poi aggiunge che il personaggio dovrà essere reinventato su misura del nuovo interprete perché il personaggio, alla fine, si evolve. Che vuol dire? Barbara Broccoli lascia intendere che il prossimo 007 potrebbe non essere inglese, non essere bianco, non essere maschio… Sembra proprio il profilo di Lashana Lynch ma sembra anche fumo negli occhi. Guardandoci intorno all’interno dello star system britannico con un occhio a quello internazionale il profilo che più combacia è quello del 31enne londinese di origini indiane Dev Patel già star in patria e assai apprezzato nel mondo. Un’altra scelta innovativa e di rottura con la tradizione potrebbe essere un altro londinese di successo, il 24enne Tom Holland, che è stato l’ultimo Spider-Man e con la sua faccia da ragazzino potrebbe essere davvero qualcosa di nuovo. Per il resto circolano sempre i soliti nomi dei soliti noti: Michael Fassbender, Tom Hardy, Robert Pattinson, Cillian Murphy, per restare nell’ambito dei bellocci aitanti stylish e british, più tanti altri bistecconi più o meno noti che le agenzie di casting mettono in circolo per fare pubblicità ai loro assistiti. Ma la lodata sceneggiatrice (anche attrice, qui alla co-scrittura del suo primo blockbuster dopo essersi esercitata in tv) Phoebe Waller-Bridge vorrebbe lavorare per uno 007 donna, dimenticando che gli sceneggiatori nel mondo 007 vanno e vengono come comparse in una sequenza di stazione ferroviaria. Gente che va, gente che viene, 007 che resta.