Archivio mensile:aprile 2024

Il ritorno dei magnifici sette

Dopo il grande successo del 1960 (qui il link con un approfondito ritratto di Yul Brynner) il sequel arriva dopo ben sei anni, segno che non tutto è andato come doveva e d’altronde il protagonista, che fu anche produttore, aveva già altri impegni in corso, ricordiamo soprattutto le escursioni fra i cosacchi della sua natia Russia in “Taras il magnifico” e fra i Maya con “Il re del sole” entrambi diretti da J. Lee Thompson. Alla fine il progetto andò in porto con un impegno ridotto di Brynner sul versante produttivo, il quale aveva puntualizzato che per girare questo sequel non voleva più avere a che fare con Steve McQueen che gli aveva creato non pochi problemi (sempre nel link tutti i dettagli), e McQueen d’altronde si dichiarò disinteressato ritenendo la trama troppo assurda: non che la trama del primo capitolo fosse così realistica, però. Ma se lì c’era alla regia John Sturges che era riuscito a creare un film evento, qui c’è il regista “di genere” Burt Kennedy, ex ballerino e attore teatrale che cacciato dal palcoscenico per scarso talento si è riciclato come sceneggiatore radio-televisivo, passando poi al cinema principalmente come regista di discutibili western serviti nelle più svariate versioni: melodrammatico, parodistico, comico; il suo unico successo arriverà l’anno dopo questo film con “Tempo di terrore” noto da noi anche come “Tempo di uccidere” con Henry Fonda.

Di fatto questo sequel non è male anche se la sensazione del già visto è sempre presente; ci sono bei movimenti di macchina e scoppiettanti sparatorie, e anche alcuni tentativi di innovazione nella trama che gioco forza ricalca quella dell’originale: lì c’era un cattivo che sfruttando terrorizzava un povero villaggio messicano, qui i villaggi diventano tre e il cattivo è spinto dal sentimento di vendetta, di padre cui hanno ucciso i figli, più che dalla brama di potere. A inizio film ci sono poi dei quadretti folcloristici con una corrida, una ballerina di flamenco e una lotta di galli: roba che fa spettacolo e allunga il brodo. Come nel primo film si compone poi il gruppo dei sette cui sono sopravvissuti il personaggio di Brynner che è l’unico del cast originario a tornare.

L’altro era quello di McQueen che si era lamentato della pochezza delle sue battute e che qui sarebbe rimasto molto compiaciuto nel vedere che ora il suo personaggio parlava più di quello del protagonista assoluto: il capo dei “I magnifici sette” che prima parlava tanto qui si fa più taciturno acquistando in fascino enigmatico: viene da pensare che aveva fatto scuola il silenzioso Uomo Senza Nome che Sergio Leone aveva creato nel 1964 inaugurando la sua Trilogia del Dollaro con Clint Eastwood. Il terzo personaggio sopravvissuto era quello di Chico che era stato interpretato dal tedesco Horst Buchholz che con quel film si lanciò nel panorama internazionale e ora non aveva certo intenzione né tempo di rifare il chico messicano in un sequel che si prevedeva senza infamia né lode.

Robert Fuller con Yul Brynner

I nuovi magnifici sette con Brynner al comando furono Robert Fuller in sostituzione di McQueen: un attore principalmente noto per le sue partecipazioni nelle serie western televisive nelle quali prevarrà il resto della sua carriera. Poi, dati i problemi col governo messicano durante la lavorazione del primo film, Il sequel fu girato in Spagna, dove i nostri andavano a girare gli spaghetti-western, e il resto del cast, dei figuranti e delle maestranze furono ingaggiati sul posto; a sostituire Buchholz venne chiamato il già noto il patria Julián Mateos che dopo questo ruolo restò a lavorare in Spagna senza più partecipazioni ad altri film internazionali. Di seguito anche la donna che il personaggio aveva sposato alla fine del film, la messicana Petra già interpretata da Rosenda Monteros, viene qui impersonata da Elisa Montés, un’attrice principalmente teatrale che nella sua carriera cinematografica ha anche lavorato all’estero, e da noi in “Noi siamo le colonne” del 1956 diretto da Luigi Filippo D’Amico.

Jordan Christopher

I restanti quattro dei sette furono: Warren Oates, caratterista anch’egli proveniente dai western tv, che aveva già lavorato col regista Burt Kennedy e che da qui in poi si ritaglierà una carriera cinematografica come interprete di rango; Claude Atkins, già noto attore con volto da duro che qui ha forse il personaggio più interessante, perché il più tormentato; concludono con ruoli decisamente secondari l’americano Jordan Christopher, più cantante che attore con un bel faccino qui spacciato per il messicano Manuel, e il portoghese Virgilio Texeira che già dal decennio precedente si era trasferito negli Stati Uniti ma che tornò in patria per occuparsi di politica e della società degli autori, la nostra SIAE.

Virgilio Texeira e Warren Oates

Accanto a questi nuovi magnifici sette che di magnificenza ne trasudano ben poca, compreso il capostipite Brynner che alla fin fine appare appannato e stanco, brilla invece l’interpretazione dello spagnolo Fernando Rey nel ruolo del prete che fa da portavoce ai ribelli: un attore di gran classe che aveva cominciato in patria come doppiatore di calibri tipo Laurence Olivier e Tyrone Power e che fu lanciato sul grande schermo dal grande Luis Buñuel e che da lì in poi fu presente sia in moltissime produzioni internazionali importanti che in film di genere anche italiani, arrivando a lavorare pure con Franco e Ciccio. La sua interpretazione dà così tanto lustro a questo sequel che verrà scritturato anche nel film successivo “Le pistole dei magnifici sette” per ricoprire un diverso personaggio: cosa che capita raramente. In ogni caso il film, pur senza bissare il successo del primo capitolo, si comportò bene al botteghino tanto da avere un altro seguito, e non solo uno.

Fernando Rey, Julián Mateos ed Elisa Montés

Oppenheimer – Miglior Tutto (o quasi) Oscar 2024

7 premi su 13 nomination sia agli Oscar che ai BAFTA per le medesime categorie, 5 Golden Globe, 4 Critics Choise Awards, 3 SAG-AFTRA, un Grammy Award alla colonna sonora di Ludwig Göransson, e l’inserimento nel National Board Rewiew fra i 10 migliori film dell’anno. Per non dire degli incassi record, anzi lo stiamo dicendo. Tutto questo nonostante il film sia sostanzialmente ostico trattando di materie astratte come la fisica e la quantistica e raccontando un protagonista non particolarmente simpatico in un contesto storico e accademico fatto di nomi e circostanze che dicono poco o nulla al grande pubblico: tolti i rassicuranti (perché conosciuti) Albert Einstein e il presidente Harry Truman, sono tutti personaggi alcuni dei quali Premi Nobel che fanno solo girare la testa. Ma la forza del film, scritto dallo stesso regista dalla biografia “Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica” di Kai Bird e Martin J. Sherwin che già vinse il Premio Pulitzer, sta nella sua struttura che mescola i generi spy thriller e legal drama interpuntati da accattivanti veloci effetti che visualizzano l’astrusità (per noi comuni spettatori) della materia quanto mai oscura, e la confezione è talmente perfetta che ci tiene incollati allo schermo nonostante le tre ore di visione. Gli Oscar vinti sono Miglior Film, Miglior Regista, Miglior Protagonista, Miglior non Protagonista, Miglior Fotografia a Hoyte Van Hoytema e Miglior Montaggio a Jennifer Lame.

Ma c’è da aggiungere che molto del merito va anche alle superlative interpretazioni dell’insieme, sin nei ruoli più piccoli dove spesso ritroviamo nomi di prim’ordine, e questo fa la differenza: la grandezza di un film, e conseguentemente del suo autore, si vede anche dall’adesione che al progetto viene da conclamati protagonisti che pur di esserci si accontentano di ruoli secondari: ci sono i già premi Oscar Matt Damon (miglior sceneggiatura originale nel 1998 insieme all’amico Ben Affleck per “Will Hunting – Genio Ribelle”) il quale non ha mai disdegnato i ruoli da comprimario se ne vale la pena e che qui ha uno dei ruoli più corposi, il fratello del suo amico Casey Affleck (miglior non protagonista nel 2017 per “Manchester by the Sea”) ed entrambi già con ruoli secondari nel cast di “Interstellar” sempre di Christopher Nolan.

Gary Oldman

In ruoli davvero minori Rami Malek (miglior protagonista nel 2019 per “Bohemian Rhapsody” dove ha impersonato Freddy Mercury), Sir Kenneth Branagh (7 candidature e un solo Oscar nel 2022 per la miglior sceneggiatura originale del biografico “Belfast”) e Gary Oldman (miglior attore nel 2018 per “L’ora più buia” dove è stato Winston Churchill) che qui con una sola scena lascia la sua impronta come presidente Truman il quale pensa basti pulirsi le mani con un fazzoletto di seta dal sangue versato dalla bomba atomica che rivendica come sua.

Ci sono poi i già candidati all’Oscar Florence Pugh (nel 2020 per “Piccole Donne”) che qui pervade la prima parte del film come tormentata amante segreta di Oppenheimer, e soprattutto Robert Downey Jr. che come vero antagonista complottista si aggiudica l’Oscar best supporting actor dopo aver ricevuto le candidature per “Charlot” nel 1993 e “Tropic Thunder” nel 2009.

Robert Downey Jr.

E ci sono a vario titolo i già protagonisti o noti comprimari sia di film che di serie tv: Emily Blunt nel ruolo della moglie del fisico che qui si aggiudica la sua prima nomination all’Oscar come best supporting actress; Josh Hartnett, Jason Clarke, James D’Arcy, Dane DeHaan, Alden Herenreich, Tony Goldwin, David Krumholz, Scott Grimes, Gregory Jbara, Tim DeKay, Jeff Hephner, James Remar, Gustaf Skarsgård, James Urbaniak, Josh Zuckerman e per ultimo, anche nei titoli, il quasi irriconoscibile Matthew Modine che fu giovane promessa hollywoodiana: Coppa Volpi al Festival di Venezia per “Streamers” (1983) di Robert Altman e poi protagonista assieme a Nicholas Cage (che al contrario ha saputo mantenersi sulla breccia) dello struggente “Birdy” (1984) di Alan Parker e in “Full Metal Jacket” (1987) di Stanley Kubrick; ma dopo qualche altro film la sua carriera è tutta in discesa fino a venire quasi del tutto dimenticato.

Come generosamente ha titolato MoviePlayer

Chiudo l’elenco del fitto cast con gli ex attori bambini ormai divenuti interpreti di rango Alex Wolff, Michael Angarano e Josh Peck; ci sono poi il figlio d’arte Jack Quaid (di Dennis Quaid e Meg Ryan) e i meno noti al grande pubblico Dylan Arnold come fratello del protagonista, Tom Conti che veste i panni di Einstein, Danny Deferrari come Enrico Fermi e Benny Safdie che è principalmente regista indipendente in coppia col fratello Josh.

Cillian Murphy a confronto con il vero Robert Oppenheimer

Protagonista assoluto l’intenso Cillian Murphy premiato con la statuetta più ambita alla sua prima candidatura. Ricordando che ha già lavorato con Nolan in “Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno” e in “Dunkirk”, bisogna notare che il regista londinese preferisce lavorare con interpreti britannici suoi conterranei: qui oltre a Murphy, Emily Blunt, Florence Pugh, Kenneth Branagh, James D’Arcy e Tom Conti oltre ad altri, non dimenticando anche il Christian Bale della trilogia sul Cavaliere Oscuro. Ma se l’autore è riconoscibile nella composizione del casting lo è soprattutto per il suo stile: ama raccontare i tormenti interiori passando per le ossessioni e gli inganni – in quest’ottica è davvero magistrale l’interpretazione di Robert Downey Jr. – e i confini della realtà anche solo come percezione interiore dei suoi personaggi – qui ben esplicitati nella figura di Oppenheimer con le sue visioni e i suoi tormenti.

Christopher Nolan sul set

Da ricordare anche la polemica dell’autore con la Warner Bros. che aveva prodotto i suoi precedenti film: “Alcuni dei più grandi registi e delle star più importanti della nostra industria sono andati a dormire pensando di lavorare per lo studio più prestigioso e si sono svegliati scoprendo di lavorare per il peggior servizio streaming.” aveva dichiarato polemicamente Nolan allorché la major aveva deciso di distribuire tutto il suo catalogo 2021 (la pandemia ha rilanciato l’home video) in contemporanea sia nelle sale che in streaming su tv e pc; e difatti, passato con questo film alla Universal, si legge nei titoli che il film è scritto e diretto “per il cinema”. E la Warner Bros. per fargli dispetto fece uscire il suo blockbuster su “Barbie” proprio in contemporanea all’uscita di “Oppenheimer”, ma gli attori di entrambi i cast, più lungimiranti e accoglienti delle case produttrici, invitarono il pubblico ad andare a vedere i due film in un solo pomeriggio come un doppio spettacolo, l’evasione e l’impegno, e tra le celebrity a fare da apripista seguendo il consiglio e fare da traino al grosso del pubblico ci sono stati Tom Cruise, che era già nelle sale con “Mission: Impossible – Dead Reckoning – Parte uno” e che non ha perso l’occasione per parlare anche del suo film, e lo sfaccendato cineamatore Quentin Tarantino; e a quel punto si è creato un altro dibattito: in che ordine vederli? la stampa chiamò il fenomeno Barbernheimer e il merchandising si buttò a capofitto nell’impresa creando magliette e ogni altra sorta di gadget… che poi uno dice: le americanate!