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1968. Il fumetto Diabolik nato sei anni prima è già un grande successo e dunque la trasposizione cinematografica fa gola ai produttori, soprattutto dopo che Kriminal, nato dopo Diabolik, è già diventato un film e un sequel è in allestimento nonostante il tiepido successo che, in ogni caso, ha portato a casa le spese con gli interessi: non c’è aspirazione al capolavoro ma l’obiettivo è piazzare un buon action-noir fra i tanti spaghetti-western e i film con Franco e Ciccio. Dino De Laurentiis, ancora per pochi anni padrone di Dinocittà a Roma prima di trasferirsi definitivamente negli USA, acquista i diritti dalle Sorelle Giussani e inizialmente, lui che è un grande scopritore di talenti a basso costo, affida la regia al debuttante Tonino Cervi figlio del divo Gino Cervi, ma qualcosa non funziona perché dopo appena una settimana il neo regista viene licenziato, probabilmente perché ha una forte personalità e vuole avere un maggior controllo sul film; tant’è che quello stesso anno debutta con uno spaghetti-western di cui è anche produttore e co-sceneggiatore con Dario Argento: “Oggi a me… domani a te”, che fu pure un successo, tanto da venire distribuito negli USA.
Lo screzio deve aver irritato non poco De Laurentiis che non se lo aspettava e ora non ha un degno sostituto; si fa avanti un amico delle sciurette fumettiste, anche sceneggiatore dell’uomo mascherato, l’appassionato di cinema e specificamente di cinema horror Corrado Farina, già regista di cortometraggi amatoriali che hanno ricevuto consensi nei festival nazionali ed esteri; De Laurentiis però non se la sente di affidargli una macchina complessa e milionaria come Diabolik e Farina, per nulla offeso dai dubbi, gli consiglia come regista il re dell’horror Mario Bava. Il film necessitava di parecchi effetti speciali e Bava ne era maestro dato che aveva iniziato a lavorare nel cinema proprio come effettista, divenendo poi direttore della fotografia e operatore di macchina prima di passare alla regia: dunque conosceva molto bene il mestiere e nonostante la lunga e variegata carriera sapeva sempre mettersi al servizio dei progetti, poiché spesso abituato a lavorare con bassi budget in tempi stretti e cast non sempre all’altezza, e confezionando comunque film dignitosi anche se inevitabilmente di serie B – molti dei quali oggi divenuti del cult. Per De Laurentiis era il regista perfetto: gli offrì il budget più alto che il regista avesse mai avuto a disposizione, duecento milioni di lire, che per il produttore erano però spiccioli, abituato com’era a produrre kolossal hollywoodiani come “Guerra e pace” di King Vidor, “Barabba” di Richard Fleischer e “La Bibbia” di John Huston, tanto per citare i più noti; e Bava era così abituato a ottimizzare che i duecento milioni non li spese neanche tutti e De Laurentiis ne fu così contento che subito gli propose di firmare per il sequel, ma il regista gli diede un due di picche perché irritato dal fatto che il produttore gli aveva imposto di non girare scene troppo violente perché intimorito dalla censura, scene che Bava riteneva necessarie in quanto più fedeli al fumetto e alla sua visione del progetto. Il regista ha dichiarato: “Mi ha chiamato per dirigere il seguito. Gli ho fatto dire che sono ammalato, invalido a letto, permanentemente”. Come oggi sappiamo il film non fu un gran successo e non ci fu nessun sequel.
Era il momento di chiudere il cast. Con Mario Bava alla regia, che firmava anche la sceneggiatura a 4, decadde il nome del francese Jean Sorel che era stato scelto da Tonino Cervi e De Laurentiis fu felice di sostituirlo con l’americano John Phillip Law che già aveva sotto contratto per il contemporaneo “Barbarella” di Roger Vadim che stava subendo dei ritardi nella lavorazione, così con un piccolo incentivo spostò l’attore da un set all’altro – Mario Bava però alla fine non ne fu contento perché ritenne l’attore troppo insulso. Come Eva Kant la prima scelta era stata una sconosciuta modella in quanto amichetta di qualcuno della produzione, però dopo appena una settimana di girato fu licenziata perché evidentemente non sapeva recitare, non sapremo mai il suo nome, e al suo posto arrivò sul set nientemeno che Catherine Deneuve: una francese per il francese Jean Sorel che era stato fatto fuori, dato che era una coproduzione Italia-Francia, girata però in lingua inglese guardando al mercato internazionale. Ma anche la Deneuve durò pochi giorni perché non voleva girare le scene di nudo e si era scontrata col regista. C’era bisogno di un’attrice più disponibile e venne chiamata l’austriaca Marisa Mell (Marlies Theres Moitzi sulla carta d’identità) già regina della dolce vita romana da quando Mario Monicelli l’aveva importata per il suo “Casanova ’70”, film che però era del ’65…. sarà che andava di moda portarsi avanti con gli anni, forse anche auto consegnarsi una patente di innovatori, dato che già nel 1962 era uscito “Boccaccio ’70” e quello stesso 1968 usciranno “Montecristo ’70” “Manon ’70” e “Gangsters ’70”. Per l’onore e i soldi della Francia scese in campo il divo Michel Piccoli come Ispettore Ginko, mentre per il nostro Adolfo Celi fu addirittura creato un personaggio ex novo, il cattivo Ralph Valmont, dato che Celi si era appena messo in luce nel cinema internazionale come cattivo in “Agente 007: operazione tuono” (1965) cui erano seguiti altri importanti ruoli oltreoceano – qui però l’attore è doppiato da Emilio Cigoli, la nota voce profonda con un leggero birignao di John Wayne. John Phillip Law fu doppiato da Giancarlo Maestri, Michel Piccoli da Gigi Proietti e Claudio Gora da Roberto Villa. Non si ha notizia della doppiatrice di Marisa Mell.
Il film di Mario Bava è ispirato al fumetto “Sepolto vivo” e si chiude con un finale aperto che lascia presupporre un sequel come un seguito c’è nel fumetto, e benché il film sia vecchio più di mezzo secolo, rispetto al Diabolik odierno dei Manetti Bros. è senz’altro più spettacolare e ancora godibilissimo perché è un gioiellino assai visuale di cinema pop molto in tendenza con l’avanguardia artistica dell’epoca che era optical, psichedelica e neo-futurista; è molto colorato e per questo assai distante dal fumetto, non perché il fumetto sia in bianco e nero ma perché è denso di atmosfere cupe che nel film diventano un esplosivo caleidoscopio. Distanti dal fumetto anche i due personaggi principali che, in questa sceneggiatura, diventano comprimari del vero protagonista: Ginko. Il Diabolik di John Phillip Law è funzionale, con un trucco che lo fa assomigliare molto al personaggio, anche se per lui il regista inventa addirittura una tuta bianco argento; mentre Marisa Mell, che potenzialmente poteva essere molto somigliante a Eva Kant, sembra però spiazzata e spiazzante, come fuori parte e non a suo agio; indossa sempre lisce parrucche biondo cenere e mai l’iconico chignon, look che la rende iper-moderna ma poco Eva; inoltre, in linea con lo stile, indossa striminziti e coloratissimi abitini nude-look che la signora dei fumetti, benché assai sensuale, non indossava – tuttalpiù qualche vertiginosa scollatura. I due performano scenette sexy con dei nudi vedo-non-vedo e sembrano più provenire dal mondo del “Barbarella” in contemporanea produzione che dai fumetti delle Sorelle Giussani.
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L’ispettore Ginko interpretato da Michel Piccoli fece molto discutere perché per molti fan non somigliava affatto al personaggio mentre le stesse creatrici intervennero in difesa (e ci mancherebbe!) dell’attore dichiarando: “Ginko si riconosce per quello che fa, non per il suo volto” e Michel Piccoli lo fa con grande naturalezza, da attore quotato che interpreta un centrato commissario di polizia in un noir, a prescindere dal criminale cui dà la caccia che solo accidentalmente è l’iconico Diabolik e solo casualmente il film è un concentrato di pop art, e la sua interpretazione pervade l’intero film divenendone il vero protagonista. Il cattivo di Adolfo Celi è da antologia e a lui vanno le battute migliori del film. Riuscitissima anche l’interpretazione dell’attore brillante inglese Terry Thomas nei panni del ridicolo ministro delle finanze, doppiato da Renzo Palmer che poi lo sostituisce in figura sulla poltrona da ministro nel film, mentre l’ex ministro delle finanze si ricicla come ministro dell’interno nelle porte girevoli dei palazzi della politica, nella finzione filmica ispirata alla pratica reale. Claudio Gora è l’immancabile ispettore di polizia sempre al seguito del ministro, mentre in ruoli minori sono da segnalare il camionista raggirato da Eva Kant interpretato da Carlo Croccolo, l’anziana lady vittima del furto clamoroso che è Caterina Boratto, Lidia Biondi come poliziotta e Lucia Modugno come prostituta, mentre l’ex pugile Tiberio Mitri è uno sgherro del cattivo Valmont. La colonna sonora fu firmata da Ennio Morricone ma rimase inedita e venne pubblicata in due CD solo nel 2001; l’unico brano che si affacciò sul mercato discografico fu “Deep Down” come lato B di un 45 giri interpretato da Christy (Maria Cristina Brancucci), il cui lato A era “Amore amore amore amore” tratto dalla colonna sonora del film “Un italiano in America” di e con Alberto Sordi: strano destino per una canzone di Morricone.
Come già detto la forza del film è, oltre che nel ritmo, nella parte visiva e va rivelato che Mario Bava, già creatore di effetti speciali e direttore della fotografia, ha inventato per il film degli straordinari effetti visivi: il famoso rifugio-caverna di Diabolik era in realtà un set vuoto e quando Law arrivò per girare la scena con Eva e la Jaguar, rimase sorpreso non vedendo nulla, così chiese al regista dove fosse la scenografia e Bava lo condusse dietro la macchina da presa mostrandogli cosa aveva preparato: pezzi di plastica e vetro colorati che in proiezione sarebbero diventati la scenografia fisicamente inesistente: se non è genio questo! De Laurentiis fu ovviamente piacevolmente sorpreso da quei semplici ma efficaci effetti visivi a costo prossimo allo zero, e compiaciuto dichiarò: “Dirò alla Paramount che questo set ci è costato 200.000 dollari!“. Anche le scene all’interno dell’appartamento seguono la stessa linea creativa.
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Con 200 milioni di budget di cui una parte non spesa, il film incassò appena 265 milioni ma ci fu poi un ulteriore ritorno dal mercato estero dove il film, che piacque molto più che in Italia, uscì col titolo “Danger: Diabolik”. La rivista francese Cahiers du Cinéma scrisse: “Gli effetti anamorfici, gli sbandamenti di ordine percettivo in ogni inquadratura, la costante discontinuità spazio temporale, concorrono alla costruzione di un universo dalla bellezza prorompente, improbabile e autoritaria“. E il severissimo americano Roger Ebert, commentò: “Forse perché è meno pretenzioso, Diabolik ha avuto più successo di Barbarella, ed è anche più divertente“. E concludo col mio ben più modesto parere: è molto più divertente del nuovo Diabolik dei Manetti Bros. Il film è disponibile su YouTube.