Archivio mensile:marzo 2021

Zack Snyder’s Justice League

4 ore di film. Che sorprendentemente non stanca, se non fosse per le umane contingenti necessità: la pipì, un caffè… Ma la fascinazione e la tensione narrativa sono tali che non si vuole interrompere, e non si vede l’ora di togliere dalla pausa la visione casalinga a cui la pandemia ha consegnato quest’opera magna, ché di questo si tratta. E non bisogna essere dei nerd appassionati dei fumetti DC Comics, o degli adolescenti ossessionati dai supereroi, per apprezzare questo film che ha il respiro solenne di quei classici del cinema dove l’eroe era sempre solitario e con qualcosa in più: Spartacus, Ben-Hur, Ercole, ma anche Mosè e Gesù e Lawrence d’Arabia e, unica donna eroina del cinema epico, Cleopatra; personaggi il cui super potere era la forza fisica ma anche l’integrità morale, o l’astuzia, o la fede, come anche l’orgoglio o l’amore o la follia, una caratteristica che diventata estrema si fa segno caratteristico e, dunque, super potere. Chi non ha amato quei film?

The Great Comic Book Conflagration | Lapham's Quarterly

Ciò che ci tiene lontani dall’universo dei moderni super eroi è la loro modernità. Segno del nostro disprezzo aprioristico per tutto ciò che non sia classico, che non venga dalla letteratura alta o dai miti della nostra storia millenaria. Questi sono eroi in maschera, che abitano una mitologia nata dalla fantasia di nostri contemporanei d’oltre oceano come letteratura di quart’ordine per ragazzi, da leggere nel tempo libero o di nascosto; fino a quando questa letteratura non è esplosa come fenomeno di massa che ha spinto di lato sugli scaffali i classici, e gli scarni albi a fumetti sono diventati patinati libri di graphic novels per quei ragazzini che diventando adulti si sono affrancati dai sensi di colpa e di inferiorità e hanno scelto di credere in Superman.

Justice League, tutti gli Easter Egg nascosti nella Snyder Cut!

A mio avviso è questo il senso del contendere: è in atto una rivoluzione culturale dove un Paese relativamente nuovo ma soprattutto potente e pervasivo, gli Stati Uniti, sta ridisegnando per sé, ed esportando nel mondo, una nuova mitologia fatta a proprio consumo e a propria somiglianza, che non disdegna di cercare connessioni con le vecchie mitologie europee così come non si fa scrupolo nel polverizzarle per impastare nuovi idoli. Il punto è che siamo coevi e testimoni di questo cambiamento e – o restiamo indietro fedeli agli antichi miti – o ci incamminiamo in questo futuro incerto e in continua trasformazione. I sacerdoti non abitano più all’ombra delle piramidi o nei retrobottega del Monte Olimpo, e anche lo sfarzo ostentato del Vaticano è in crisi di identità, mentre dalle parti della Mecca continuano a girare attorno al monolite nero avvitandosi su se stessi in un passato sterile che, senza un suo futuro, vuole imporsi nel nostro con la forza. Gli dèi indù respirano lievi e in buona salute rinvigorendosi nelle teorie degli antichi visitatori alieni, mentre i filosofi con gli occhi a mandorla seguono il mondo con sempiterno distacco. E in questo vecchio mondo così ricco di espressioni mitiche, i nuovi sacerdoti americani ancora non sanno di essere dei sacerdoti e operano per quello che al momento sono: creatori di fumetti e di film fantasy, inventori di miti che hanno già nel mondo milioni di adepti. E l’azione di fede richiesta è onesta e dichiarata: compri, paghi, leggi, vedi. Non c’è l’inganno del sacrificio da offrire, dell’obolo da dare, dell’indulgenza da acquistare o dell’otto-per-mille da versare. Del resto sono già del 1971 i “New Gods”, il gruppo dei primi supereroi DC Comics inventati e disegnata da Jack Kirby, e a cui questa Lega di Giustizieri si ispira direttamente.

Tu lo conosci, Joker?

Il punto è che in questa rivoluzione in atto ci sono molti creatori con visioni diverse, differenti espressioni creative che immaginano mondi diversi che poi entrano in collisione fra loro, personaggi che in un mondo vivono e in un altro muoiono – e allora che si fa? Ecco il multiverso, il multi universo, i mondi paralleli dove possono esistere contemporaneamente i diversi scismi, cattolici protestanti e ortodossi che coesistono senza più darsi battaglia e ognuno raccontare il mondo che vuole, il Batman di Christian Bale che convive col Batman di Ben Affleck, il Joker di Heath Ledger che vivrà per sempre nonostante quello di Jack Nicholson, mentre il Joker di Jared Leto sfida dal multiverso il Joker di Joaquin Phoenix. Per dirne una: Harley Quinn qui è morta per mano dell’ex fidanzato Joker ma in un altro universo cinematografico, “Birds of Prey” è viva e vegeta. Ma questo multiverso è al momento un mondo ideale verso cui aspirare, chiusi in casa davanti ai nostri personali schermi, al riparo da virus pandemici, senza più gli scontri fisici e sanguinari dei crociati o il pericolo degli ordigni esplosivi nei bar, dove guardiamo combattere i nostri nuovi dèi che possiamo mettere in pausa quando vogliamo.

Superman: il mantello usato da Christopher Reeve è il più costoso tra  quelli per supereroi

Zack Snyder debutta come regista nel 2004 con “La notte dei morti viventi”, blockbuster remake del capolavoro horror dell’allora debuttante (1968) George A. Romero. Continua con un altro campione d’incassi e firma la regia di “300” dalla graphic novel di George Miller. Ma è nel 2013 che entra nell’universo DC Comics col suo Superman “L’Uomo d’Acciaio”. Prima di questo Superman ricordavamo i quattro film con Christopher Reeve degli anni ’80. Nel 2006 c’è stato il “Batman Returns” firmato da Bryan Singer in libera uscita dagli X-Men della Marvel, e benché generalmente apprezzato dalla critica, a parte il protagonista Brandon Routh, non ha incassato quanto sperato ed è rimasto un episodio unico. Si arriva dunque all’idea di un altro reboot e il pacchetto – con il beneplacito di Christopher Nolan fra i produttori, già regista della rilettura dark e decadente della trilogia di Batman con Chrstian Bale – viene affidato a Zack Snyder, che ne condivide la visionarietà: siamo in un’epoca in cui i supereroi perdono innocenza e purezza e si incupiscono come gli umani su cui dovrebbero vegliare. I supereroi ora soffrono come noi umani, hanno dubbi e sensi di colpa, sentono la loro inadeguatezza e patiscono anche fragilità sentimentali: se da un lato ci consola vederli uguali a noi, dall’altro non ci fanno più sognare l’alterità della perfezione dei muscoli dell’intelligenza e dei superpoteri: sognavamo di affrancarci nel loro Olimpo e invece sono scesi fra noi. Le maschere acquisiscono umana complessità e psicologica profondità. E’ come se Arlecchino soffrisse di disturbo della personalità o Colombina di scarsa autostima femminile: non ci sono più certezze, non c’è più un supereroe che risponde alle nostre domande perché troppo impegnato a dipanare i propri dubbi, il futuro è apocalittico e senza lieti fine, lo schermo non è più fatto di colori puliti ed è un grigio mondo polveroso e post apocalittico.

Who Are Zack Snyder's Kids? A Look at His Personal Life and Children
La famiglia Snyder, Autumn è la terza da destra

Dopo “L’Uomo d’Acciaio” Zack Snyder ci serve la morte di Superman in “Batman V Superman: Down of Justice” che è anche il debutto di Ben Affleck come Uomo Ragno, un Batman stazzonato e con la barba incolta che niente ha da invidiare al Cavaliere Oscuro di Christian Bale e Christopher Nolan. Ed eccoci al terzo capitolo, quel “Justice League” che ha causato tanti guai. Circa a metà lavorazione il regista ha lasciato il set a causa di un grave lutto personale: la figlia 20enne Autumn muore suicida per cause mantenute riservate. Il regista Joss Whedon, già nel novero degli sceneggiatori, viene scelto da Snyder per concludere le riprese e curare la post produzione, che in film di questa portata e di questo genere sono un fondamentale segmento di regia. Il progetto sfugge di mano e il risultato è un film bocciato su tutti i fronti. A quel punto, critica e fan, ormai pienamente consapevoli di quanto fosse accaduto alla lavorazione, hanno cominciato a chiedersi cosa avrebbe potuto essere il film che non è più stato – e si è crea una petizione, cui hanno aderito anche alcuni membri del cast e della produzione, per avere uno Snyder Cut, una versione rivista e corretta dal regista.

Roberto Recchioni's - Zack Snyder's Justice League - La Recensione

Ma la Warner Bros. dichiarò che non era prevista la distribuzione di nessuna versione alternativa del film e anzi era già in lavorazione il sequel. Salvo poi cedere alle enormi pressioni – che in termini economici erano potenzialmente gli enormi profitti che “Justice League” non aveva garantito – e annunciare nel maggio 2020, in piena pandemia, che ci sarebbe stata la director’s cut distribuita on demand da HBO Max nel formato di miniserie di quattro episodi da un’ora.

il-casanova-di-federico-fellini-locandina-italiana-264035 - Chiamamicitta

Che nella versione del regista, ora al timone dell’operazione, per la quale ha ricevuto carta bianca e anche altri soldi per girare nuove scene, è diventato questo film di quattro ore completamente nuovo, col suo nome nel titolo, anche più grosso del titolo, cosa che a mia memoria era solo accaduto per “Il Casanova di Federico Fellini” nel 1976, e solo dopo che Fellini aveva lavorato per decenni mentre Zach Snyder è arrivato a questo in quindici anni circa. (Se ci sono altri film col nome del regista nel titolo per favore fatemi sapere così li aggiungo.)

Zack Snyder's Justice League - Film (2021)

Molto del materiale pubblicitario è in bianco e nero e il film è stato rilasciato nel formato 4:3, il quasi quadrato molto in uso fino agli anni ’50, che è anche l’ultimo periodo glorioso del bianco e nero. Ma probabilmente questa ispirazione (che io direi glamorous) e l’onda pubblicitaria da cavalcare sono venute dopo. La ragione sterilmente tecnica è che il formato era l’ideale, anche per la grande risoluzione pixel, ad essere proiettato nelle sale IMAX della HBO; ma poi è stato mantenuto anche per la sola pubblicazione on demand. L’altra ragione è che Snyder voleva una cesura e un cambio stilistico con la precedente Justice League, e va detto che aveva cominciato a sperimentare questo formato, che affascina anche il suo amico Christopher Nolan, già girando alcune scene del precedente “Batman v Superman: Dawn of Justice” che però è stato rilasciato nel classico wide screen 2,39:1. Sull’argomento il regista ha dato questa dichiarazione: “Il mio intento era che il film, l’intero film, venisse riprodotto in un gigantesco rapporto di aspetto 4:3 su uno schermo IMAX gigante. I supereroi tendono ad essere, come figure, meno orizzontali. Forse Superman quando vola, ma quando è in piedi è più in verticale. Tutto è composto e ripreso in questo modo. Si tratta di un’estetica completamente diversa.”

Zack Snyder's Justice League, recensione - Multiplayer.it

Il regista, cioè l’autore, ovvero il creatore – come definirlo? – nel ridisegnare i suoi nuovi dèi si spinge oltre il semplice o semplificante o semplicistico? – come definirlo? – film di supereroi, fumetto in movimento, e ne fa un film drammatico con l’andamento largo e solenne dei classici, dove gli eroi si mischiano alle persone reali e si prendono tutto il tempo necessario per raccontare la loro storia, umana o sovrumana poco importa, conta solo la profondità del racconto, le relazioni, l’ambiente, la personalizzazione dei singoli drammi. Sono personaggi che potrebbero essere stati raccontati da David Lean o Ingmar Bergman, da Michelangelo Antonioni o Martin Scorsese, le cui battaglie diventano apocalittiche perché è in gioco il destino dell’intera umanità. Gli effetti speciali e le scene d’azione cedono il passo ai drammi individuali che a loro volta confluiscono in un dramma epico in cui fra i comuni mortali vivono i supereroi, ma anche un essere umano il cui superpotere è la ricchezza, Bruce Wayne-Batman, e un uomo che è mezzo macchina, Victor Stone-Cyborg: una diversità di generi che pacificamente convive in un mondo ideale.

Ann Sarnoff, prima donna a ricoprire la carica di amministratore delegato della Warner Bros. (una Sorella nel regno dei Fratelli) all’uscita di “Justice League” aveva escluso sia il director’s cut che un eventuale sequel, dichiarando: “Vogliamo voci diverse. Certi fan che vogliono solo una voce potrebbero essere delusi, ma chiediamo loro di essere pazienti e di vedere quello che abbiamo in ballo, dato che anche le altre voci hanno delle storie altrettanto avvincenti da raccontare”. I fatti l’hanno smentita. E’ notizia recentissima di quest’altra sua dichiarazione: “Apprezzo che io fan adorino il lavoro di Zack e siamo molto grati per i suoi numerosi contributi alla DC. Siamo davvero felici che abbia potuto dare vita alla sua visione della Justice League perché questo non era in programma fino a circa un anno fa. Con ciò arriva il completamento della sua trilogia. Siamo molto felici di averlo fatto, ma siamo molto entusiasti dei piani che abbiamo per tutti i personaggi DC multidimensionali che vengono sviluppati in questo momento.” Evidentemente Sister Bros. non ama Zack Snyder ma staremo a vedere se i fatti la smentiranno ancora una volta. Gli americani, maestri di sintesi, hanno coniato il termine Snyderverse per parlare dell’universo di Zack Snyder e il movimento è potente e le prospettive di monetizzarlo sono ingenti. L’unico ostacolo reale è la pandemia che sta tenendo nei cassetti grandi film come l’ultimo 007 ultimo di Daniel Craig, per evitare che vengano svenduti on line e in tv.

Interpreti e personaggi principali:
Ben Affleck: Bruce Wayne / Batman
Henry Cavill: Clark Kent / Kal-El / Superman
Amy Adams: Lois Lane
Gal Gadot: Diana Prince / Wonder Woman
Ray Fisher: Victor Stone / Cyborg
Jason Momoa: Arthur Curry / Aquaman
Ezra Miller: Barry Allen / Flash
Willem Dafoe: Nuidis Vulko
Jesse Eisenberg: Lex Luthor
Jeremy Irons: Alfred Pennyworth
Diane Lane: Martha Kent
Connie Nielsen: Ippolita
J. K. Simmons: James Gordon
Amber Heard: Mera
Billy Crudup: Harry Allen, padre di Barry
Joe Morton: Silas Stone
Zheng Kai: Ryan Choi
 Lisa Loven Kongsli: Menalippe

Intravediamo
Robin Wright come Antiope
e Joe Manganiello come Deathstroke.

E Johnny prese il fucile – unico film di Dalton Trumbo

E JOHNNY PRESE IL FUCILE - Film (1971)

Mamma mia che film! Uno di quei casi che mi fa venire voglia di leggere il romanzo da cui proviene, che è possibile trovare gratuitamente in pdf in questo link: https://kritjur.org/108541-e-johnny-prese-il-fucile.

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Sono molte le considerazioni da fare, a partire dal titolo che è un modo di dire solo americano, che non riporta il nome del protagonista del film che si chiama Joe. Johnny get your gun era una frase propagandistica che invitava i giovani a prendere le armi e andare in guerra, una frase coniata fra la fine dell’800 e l’inizio del 900 resa famosa dall’allegra (e oggi direi beffarda) canzonetta patriottica “Over There” registrata proprio all’inizio del coinvolgimento degli Stati Uniti nella Prima Guerra Mondiale. Frase che trovò una sponda grafica nel manifesto con lo Zio Sam, altra figura retorica, che diceva: “I want YOU for U.S. Army” uscito nel 1917 e usata per il reclutamento fino a tutto il secondo conflitto mondiale; manifesto in cui l’autore James Montgomery Flagg (nomen omen: flag significa bandiera) ritrasse se stesso ricevendo i complimenti dal presidente Roosevelt: “Mi congratulo con lei per l’ingegnosità con cui si è risparmiato l’assunzione di un modello.”

Il manifesto ebbe assai più successo nel reclutare la carne da macello – come romanzo e film raccontano – perché per ascoltare l’amena canzoncina le masse non erano così abbienti da possedere una delle prime radio in commercio o un grammofono su cui far girare il vinile, e la frase che invitava Johnny a prendere il fucile si avviò a una rilettura tragicamente ironica. Ma Mr Flagg non si era inventato niente perché aveva solo copiato da un manifesto inglese che ritraeva Lord Kitchener, plurititolato generale ed eroe britannico che ci mise la sua faccia per reclutare i giovani al primo conflitto mondiale nel quale lui stesso perì.

Dalton Trumbo, scrittore e sceneggiatore iscritto al partito comunista, in un articolo del 1946, “The Russian Menace”, si era messo nella prospettiva di un cittadino russo dopo la Seconda Guerra Mondiale: cercare una prospettiva diversa, un punto di vista inedito ancorché disturbante, è tipico degli scrittori di talento, ma in quell’articolo si era spinto a scrivere che gli Stati Uniti rappresentavano una minaccia per la Russia, e non il contrario.

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Per le sue idee politiche fu messo sotto inchiesta dalla “Commissione per le Attività Antiamericane”, precedente alla più nota commissione del senatore Joseph McCarthy con la quale viene confusa, e insieme ad altri dieci professionisti del cinema, che vennero poi denominati “Hollywood Ten”, fu condannato a 11 mesi di prigione e inserito in quella lista nera che gli vietava di lavorare ancora nel settore. Ma nonostante il divieto Dalton Trumbo continuò a scrivere per il cinema, celandosi però dietro altri amici prestanome, così scrisse “Vacanze romane” (1953) firmando col nome del collega Ian McLellan Hunter e come ulteriore beffa il soggetto vinse l’Oscar e il vero autore non poté uscire allo scoperto; vinse di nuovo l’Oscar con la sceneggiatura di “La grande corrida” (1956) firmata col nome di Robert Rich e stavolta il premio gli venne tardivamente riconosciuto e consegnato nel 1975 un anno prima che morisse; anche l’Oscar del ’53 gli venne riconosciuto ma solo decenni dopo, postumo, nel 2011.

Spartacus: Kirk Douglas, Dalton Trumbo e la storia vera del film di Kubrick
Kirk Douglas e Stanley Kubrick sul set di Spartacus

Il 1960 fu un anno di svolta perché la caccia alle streghe perdeva potenza e poté ricevere il sostegno che meritava senza che questo mettesse più in pericolo i suoi sostenitori. Trumbo scrisse la sceneggiatura di “Exodus” per Otto Preminger, produttore e regista, che si batté affinché il suo nome venisse accreditato. Ma la vera svolta era avvenuta grazie a Kirk Douglas che, non avendo ottenuto il ruolo di protagonista in “Ben-Hur” si impegnò per realizzare il suo sogno di interpretare un antico eroe in sandali e gonnellino che si batte contro l’Impero Romano in “Spartacus”: esplicitamente chiese di avere Dalton Trumbo alla sceneggiatura, mentre la regia sarebbe andata a Stanley Kubrick. Ma lo scrittore era ancora nella lista nera e Kirk Douglas, insieme al regista e al produttore, si incontrarono per discutere la faccenda, se e come accreditare il nome dello sceneggiatore, ma quando il regista suggerì senza tanti scrupoli di mettere il proprio nome andandosi così a prendere il merito come sceneggiatore-regista, l’attore si indispettì. L’indomani mattina Kirk si presentò al cancello della Universal dicendo solo, con autorevole nonchalance: “Vorrei lasciare un pass per Dalton Trumbo”. Fu così che per la prima volta dopo dieci anni Trumbo entrò in uno studio cinematografico: “Grazie, Kirk, per avermi restituito il mio nome.”

Va ricordato che anche Stanley Kubrick aveva debuttato con film antimilitarista, quel “Paura e Desiderio” che al confronto con questo maturo e tragico “E Johnny prese il fucile” è poco più che un esercizio giovanile.

Nel 2015, in occasione dell’uscita del film biografico “L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo” l’allora 98enne Kirk Douglas scrisse una lettera aperta dopo aver visto l’anteprima: “Negli anni delle liste nere ho avuto amici che sono stati esiliati perché nessuno li faceva lavorare: attori che si sono tolti la vita per la disperazione. Lee Grant, mia giovane collega in Detective Story, non ha potuto lavorare per dodici anni, dopo aver rifiutato di testimoniare contro il marito al Comitato per le Attività Antiamericane. Io stesso fui minacciato di essere condannato come comunista e rovinare così la mia carriera se avessi fatto lavorare in Spartacus il mio amico Dalton Trumbo.”

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Già all’uscita nel 1939 il romanzo contro la guerra “E Johnny prese il fucile” vinse l’American Book Sellers Award. La stesura del romanzo, uno straziante apologo contro ogni tipo di guerra ispirato a un fatto realmente accaduto, si adeguava alla linea del Partito Comunista Americano di stretta osservanza staliniana, il cui intento era tenere fuori gli Stati Uniti dal conflitto, una posizione non-interventista dunque. Ma quando nel 1941 Hitler attaccò l’Unione Sovietica e il partito divenne sostenitore dell’intervento americano a fianco dell’Unione Sovietica, Trumbo si attivò per sospendere la pubblicazione del suo libro fino a guerra finita, e questo dice chiaramente quanto in quell’occasione fosse in disaccordo col Partito Comunista. E poi, dopo l’episodio di Pearl Harbor, sempre nel 1941, il libro fu fisicamente ritirato dalle librerie ed occultato ai più. Solo dopo il 1945 ricomparve nelle librerie e in seguito segnò sempre picchi di vendita ogni volta che l’America entrava in guerra: Corea, Vietnam, e ogni volta rientrava in circolazione come un manifesto e un monito sull’insensatezza di quelle carneficine. Per Trumbo fu il progetto di una vita e già nel 1940 ne aveva realizzato un adattamento per la radio, con la voce narrante di James Cagney, che è possibile ascoltare al link qui di seguito:

https://www.podomatic.com/podcasts/boxcars711/episodes/2018-05-26T15_00_00-07_00

E’ il monologo interiore di un soldato rimasto orrendamente mutilato: di lui resta solo il torso, senza gli arti, e gli è completamente saltata via la faccia, dunque non può vedere né parlare né sentire; può solo pensare, perché il cervello è rimasto intatto e consente agli altri organi principali di sopravvivere, e percepire attraverso il corpo e la pelle le vibrazioni dei movimenti attorno a lui e il calore della luce del sole, quando gli viene concessa. Riuscirà a comunicare solo grazie alla dedizione di un’infermiera che gli disegna con le dita le lettere sul petto e lui, conoscendo l’alfabeto morse, muoverà a scatti la testa per riuscire finalmente a dire cosa prova e cosa vuole, non prima di aver superato la convinzione dei medici specialisti che li consideravano solo spasmi.

In sordina: Film - E Johnny prese il fucile, di Dalton Trumbo -  LaScimmiaPensa.com

A 66 anni Dalton Trumbo può finalmente farne IL suo film, ignorato in patria ma che vince il Gran Premio Speciale della Giuria a Cannes nel 1971. Usa un tagliente bianco e nero per il presente e un pastellato colore per le sequenze che raccontano i ricordi e i sogni di Joe, confezionando una scatola degli orrori senza mai scandalizzarci visivamente, ma solo emotivamente. il film è un lungo monologo con voce fuori campo che racconta le sensazioni presenti e le figure che gli si muovono intorno, alternato ai momenti spensierati e speranzosi del Joe che va in guerra perché convinto sostenitore della democrazia del suo Paese: un concetto astratto che si farà una realtà terribilmente insopportabile. Via Morse chiederà di essere esposto come un fenomeno da baraccone o di essere ucciso: non verrà accontentato e rinchiuso nel buio dello stanzino continuerà a lanciare per sempre il suo S.O.S. con l’unico modo che può, muovendo a scatti la testa. La democrazia l’ha condannato a quello stato e la sperimentazione medica lo condanna all’eternità.

Dalton Trumbo film 'Johnny Got His Gun' to screen in L.A. – People's World

Protagonista assoluto del film è il debuttante 25enne Timothy Bottoms, che con la sua faccia da innocente bambolotto incarna il tipico giovane americano medio; e quello stesso anno sarebbe stato protagonista anche del bellissimo “L’ultimo spettacolo” di Peter Bogdanovich. L’impegno per lui è notevole perché recita fuori campo per metà del film, doppiato in italiano da Massimo Turci, oltre a essere poi protagonista di tutte le altre scene in cui duetta con Jason Robards nei panni di suo padre e con Donald Sutherland che, capelli lunghi e barba bionda, è il Gesù che neanche nei suoi sogni riesce a dargli speranza. l’Infermiera che umanamente e pietosamente stabilirà con lui un contatto – anche oltre le regole e il buon senso – è interpretata da Diane Varsi, il cui ruolo più di spicco rimane quello del suo debutto in “I peccatori di Peyton” 1957.

Ten Appearances Of George W. Bush In Movies And TV | Cool Aggregator
Timothy Bottoms come George W. Bush

Anche Timothy Bottoms si perderà per strada e avrà un ritorno di attenzione in anni più recenti per la sua somiglianza con George W. Bush, nel 2001 protagonista della sitcom “That’s my Bush!” e sarà di nuovo l’ex presidente in un film e in un telefilm arrivando alle parodie.

Pin on Film

Non ci resta che leggere il romanzo, o passare al prossimo film.

Brivido nella notte – opera prima di Clint Eastwood

I 37 imperdibili film del regista Clint Eastwood - Amica Foto 37

Il 41enne Clint Eastwood, già noto in patria con la serie tv western “Gli uomini della prateria” in cui è protagonista per le otto stagioni dal 1959 al 1965, era passato anche agli spaghetti-western italiani nella “Trilogia del Dollaro” di Sergio Leone, girata in concomitanza alla chiusura della serie e che inaspettatamente gli diede una grande fama internazionale mentre la critica statunitense, che già bocciava i western italiani, lo definì legnoso monocorde inespressivo e poco carismatico confondendo le caratteristiche del personaggio con la recitazione dell’attore; al contrario il pubblico lo consacrò icona del cinema western, perché avevano fatto presa l’espressione chiusa ed enigmatica e le chiacchiere ridotte al minimo immaginati per lui da Sergio Leone. Così, tornato in patria, continuò per un po’ a fare film western e militareschi per non tradire il suo pubblico, finché ebbe l’opportunità di passare dietro la macchina da presa dopo aver fatto pratica con un cortometraggio, togliendosi di dosso i panni impolverati di cowboy e soldati.

Photo of Jo Heims

La sceneggiatura che scelse per questo suo debutto da regista è scritta da una delle rare figure di screen-writer donna nello show business americano dell’epoca, tale Jo Heims che dopo essere stata ballerina e modella e poi illustratrice di moda si reinventò una carriera nel cinema partendo dalle basi come segretaria, e poi scrivendo di tutto per schermi grandi e piccoli, dai western agli horror alle commedie e ai drammi sentimentali. Per Clint scriverà anche due film arrivati a tambur battente dopo il successo di questa sua prima regia: “Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo!” diretto da Don Siegel e il dramma sentimentale “Breezy” che sarà la seconda regia di Eastwood e uno dei pochi film, almeno fino agli anni più recenti, in cui non reciterà (però alla maniera di Hitchcock vi si farà vedere come un semplice passante). Jo Heims è morta prematuramente di cancro al seno.

Brivido nella notte - NOW TV

Il titolo italiano “Brivido nella notte” benché evocativo di emozioni forti è alquanto fuorviante dato che il brivido, o per lo meno la tensione, corre per tutto un film fatto di tante notti e tanti giorni. Il titolo originale, “Play Misty for me”, è il tormentone della storia in cui una donna psicopatica, mitomane e manipolatrice, perseguita il disc-jockey di una radio dapprima chiedendogli sempre di passare “Misty” per lei e poi invadendogli la vita: una storia che fa subito pensare al grande successo del 1987 “Attrazione fatale” nel quale, cambiando ambientazione e specifiche dei personaggi, si ritrova lo stesso tema: l’ossessione di una donna per un uomo. Ma qui siamo ancora nel 1971, nel cinema abbiamo visto dark ladies di ogni tipo ed è forse la prima volta che l’ossessione erotica di una donna, qui assai trattenuta, viene raccontata così per esteso.

Play Misty for Me | Clint Eastwood, Jo Heims, Dean Riesner, Donna Mills

Clint Eastwood, anche produttore con la sua “Malpaso Film” fondata coi proventi della “Trilogia del dollaro”, è protagonista assoluto del film e come attore finalmente in panni borghesi rimane sempre molto misurato, uno stilema interpretativo che diverrà suo stile personale, mentre come regista sa già il fatto suo; ha imparato molto dirigendo episodi di diverse serie tv, ma anche prendendo molto dal suo maestro italiano, Sergio Leone, e da quel personaggio di poche parole, l’Uomo Senza Nome. Apre il film con una ripresa aerea, forse un dolly dato che non esistevano i droni, che ci mostra una casa che si affaccia a strapiombo su una scogliera: niente musica, solo un silenzio naturale che cinematograficamente diventa innaturale, perché siamo troppo avvezzi alle musiche di sottofondo, e subito ci cattura l’attenzione e ci inquieta perché ci dice già che su quell’affaccio di terrazzo sulla scogliera sottostante accadrà qualcosa di brutto. Clint Eastwood fa di quella scogliera l’uso cinematografico che si fa delle armi, pistola o coltello: una volta mostrati sullo schermo sappiamo già che verranno usati. Anche nei momenti più concitati e thrilling evita l’uso dell’abusata musica d’atmosfera e fa diventare quelle scene come reali, accompagnate solo dalla musica che passa dalla radio, musica brillante e cinematograficamente dissonante. Insomma il debuttante ex cowboy dagli occhi di ghiaccio sa quello che fa ed è l’inizio di una strepitosa carriera costellata di film straordinari.

Jessica Walter e Donna Mills

Jessica Walter recita la psicopatica e riceve per questa sua interpretazione, che rimarrà il punto più alto di una carriera in cui farà molta televisione, la nomination al Golden Globe. Donna Mills, anche lei breve carriera al cinema e molta tv, interpreta la fidanzata del protagonista, e in entrambi i ruoli femminili si sente la sensibilità di una donna scrittrice perché sfuggono agli stereotipi, e se la prima è una stalker ante litteram assai credibile, la seconda è una fidanzata inquieta e dubbiosa che non si appiattisce sulla personalità del maschio alfa. John Larch, che tornerà a lavorare con Clint nel primo Ispettore Callaghan (sarà una serie di cinque film) è il caratterista di lungo corso che interpreta il poliziotto che indaga mentre il regista Don Siegel, attore a tempo perso, interpreta il cameo dell’amico barman del protagonista, e da amico nella vita reale dirigerà l’attore in cinque importanti film, l’ultimo dei quali sarà “Fuga da Alcatraz”.

I 90 anni di Clint Eastwood, l'antieroe che se ne frega di tutto, tranne  che della libertà - Linkiesta.it

Una leggenda metropolitana vuole che sia figlio di Stan Laurel, un errore che si è fatto strada perché la sua data di nascita è la stessa del figlio di Sanlio che però morì poche settimane dopo. Clint Eastwood al momento è un 91enne (è del 1930) che soffrendo di sordità senile porta un apparecchio acustico che non indossa mai in pubblico. E’ ancora attivo ed è anche un rinomato musicista. Da ragazzo, dopo un primo diploma in un istituto tecnico tenta di prendere un secondo diploma in musica ma gli studi verranno interrotti perché richiamato al servizio militare per l’intervento degli USA in Korea, ma riuscì a evitare il trasferimento al fronte grazie alle sue doti sportive diventando istruttore di nuoto per le reclute. Durante gli anni della serie “Gli uomini della prateria” inciderà il suo primo singolo, “Unknown girl”, e in seguito inciderà anche diversi album, molti dei quali come autore delle colonne sonore dei suoi stessi film. Appassionato anche di biografie dirigerà “Bird” sul jazzista Charlie Parker e “Jersey Boys” sul gruppo rock-pop The Four Season. Altri suoi film di cui ho parlato sono gli ultimi usciti al cinema: “American Sniper”, “The Mule – Il Corriere” e “Richard Jewell” e di altri film classici parlerò, nell’attesa e nella speranza di un nuovo film ancora.

Ieri, oggi, domani

Ieri, oggi, domani (film 1963) - Wikiquote

Un film a episodi d’autore che vince l’Oscar come Miglior Film Straniero e si piazza sulla vetta dei film a episodi, genere che l’Italia produce in maggior numero rispetto al resto del mondo, limitandosi però al genere di costume quando non specificamente erotico e di discendenza boccaccesca, che all’inizio erano film d’autore, vedi “Boccaccio ’70” con regie di De Sica, Fellini, Monicelli e Visconti, ma poi hanno degenerato, da un lato in lungometraggi pseudo-Boccaccio con titoli come “Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda”, “Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno”, “Decameron Proibitissimo. Boccaccio Mio Statte Zitto…” e via discorrendo; e dall’altro lato in film a episodi di costume che indagano l’amore, spesso anche nel titolo, e le relazioni uomo-donna, i migliori fra i quali come esercizi di stile al maschile cui nessuno dei prim’attori italiani si è sottratto: Vittorio Gassman lo abbiamo visto protagonista assoluto nell’opera prima di Ettore Scola “Se permettete parliamo di donne”; Nino Manfredi sempre unico protagonista di “Vedo nudo”; Alberto Sordi ha scritto e diretto “Il comune senso del pudore” recitando solo nel primo dei quattro episodi; Ugo Tognazzi e Marcello Mastroianni hanno partecipato a molti di questi film più o meno d’autore, fino a Giancarlo Giannini altro protagonista assoluto in “Sesso matto” di Dino Risi.

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Ma non solo sesso. Vittorio De Sica aveva diretto nel ’54 “L’oro di Napoli” scritto con Giuseppe Marotta e Cesare Zavattini. Ispirato a racconti di Edgar Allan Poe “Tre passi nel delirio” è un film di tre episodi firmati da Federico Fellini, Louis Malle e Roger Vadim. C’è stato l’interessante esperimento “Siamo donne” che mette insieme i generi documentario e biografico raccontando scorci di vite di quattro famose attrici: Ingrid Bergman, Anna Magnani, Isa Miranda e Alida Valli, gettando uno sguardo debitamente addomesticato nelle loro vite private, una sorta di rivista illustrata in film. Altro raro film al femminile è “Le bambole” che già nel titolo, però, strizza l’occhio al maschilismo imperante all’epoca. Più vicini nel tempo ci sono stati “Kaos” (1984) dei Fratelli Taviani da racconti di Pirandello che vede per l’ultima volta insieme sullo schermo, riuniti dopo anni di separazione, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia nell’episodio “La giara”; “Caro diario” (1994) di Nanni Moretti e ultimamente “Il racconto dei racconti” (2015) di Matteo Garrone da Giambattista Basile, dove però le storie sono montate a incastro e dunque non si può definire un puro film a episodi dove i segmenti sono conclusi e si susseguono.

“Ieri, oggi, domani” resta forse l’unico film in cui una donna è protagonista assoluta, Sofia (altrimenti Sophia) Loren, già moglie del produttore Carlo Ponti il quale sta imprimendo una decisiva svolta alla sua carriera. L’accompagna nei tre episodi, restando però un passo indietro, Marcello Mastroianni, l’attore col quale formerà un’ideale coppia cinematografica in ben 15 film. I tre episodi si intitolano coi nomi delle protagoniste, Adelina Anna e Mara, e sono ambientati in tre diverse città, Napoli Milano e Roma.

Isabella Quarantotti con Eduardo De Filippo

“Adelina” è ispirato a un fatto reale: una venditrice di sigarette di contrabbando che pur di evitare la galera – allora le donne incinte potevano – ha fatto un figlio dietro l’altro; l’episodio è stato scritto da Eduardo De Filippo con Isabella Quarantotti che un paio d’anni dopo diverrà sua compagna.

Addio Billa, l'altra "signorina snob" - La Stampa
Marialisa Pedroni Zanuso che si firmava Billa Zanuso ma anche solo Billa Billa, con Franca Valeri

“Anna” è tratto dal racconto “Troppo ricca” di Alberto Moravia, breve corsa in auto, una Maserati, di una ricca signora annoiata per cui uomini e automobili sono beni di lusso intercambiabili; è sceneggiato da Cesare Zavattini, scrittore satirico fra gli ideatori del cinema neorealista, con Billa Zanuso, intellettuale amica e sodale di Franca Valeri per e con la quale inventò “la signorina snob”. Questo episodio, il più breve dei tre, fu anche criticato da Pietro Bianchi su Il Giorno: “Si tratta di un film scritto per mettere in valore le doti di venustà e di bravura di Sophia, poco impegnato quindi nell’approfondimento di situazioni e caratteri. Piuttosto velenoso il secondo episodio che tuttavia si morde la coda.” Velenoso, verrebbe da chiedersi oggi, perché si fa beffe dei ricchi del nord e non si limita a ironizzare sui proletari del sud? A mio avviso la critica da fare sarebbe proprio alla protagonista che nei panni della borghese milanese – e credo sia l’unico film in cui recita con accento meneghino – non è a suo agio, e pur restando una brava attrice si vede che recita un personaggio troppo lontano dalla sua natura. Sempre intonato invece Mastroianni anche quando farà il bolognese nel terzo episodio.

Ieri, oggi, domani” di Vittorio De Sica, un capolavoro premiato con l'Oscar  – Fondazione

“Mara”, scritto dal solo Cesare Zavattini, racconta di una squillo di lusso con attichetto su Piazza Navona dove discretamente riceve i suoi clienti, che è qui alle prese con un faccendiere bolognese che scende regolarmente nella capitale a incontrare sottosegretari per conto del padre che lo insegue al telefono; ma da un altro lato la squillo è alle prese con un seminarista, che solo a scambiare due parole con lei dal terrazzo attiguo, se ne innamora e progetta di abbandonare l’abito talare; ma a quel punto Mara, onestamente incolpevole delle fantasie del giovane, dovrà vedersela con la di lui nonna, fervente cattolica. E’ in questo episodio che la Loren farà il famosissimo spogliarello per Mastroianni che trent’anni dopo Robert Altman riprenderà omaggiandolo in “Prêt-à-Porter”, e se in questo film del 1963 allo spogliarello non è seguito l’agognato amplesso perché la squillo aveva fatto un fioretto affinché il seminarista tornasse in collegio, nel 1994 dopo lo spogliarello lui s’addormenta perché anziano e stanco.

Recensione su Prêt-à-porter (1995) di LorCio | FilmTV.it

Uscito il Italia nel dicembre del 1963 il film impiega tutto l’anno successivo per girare il mondo e approdare agli Oscar del 1965 dove Sofia-Sophia era anche candidata come migliore attrice, ma il premio andò a Julie Andrews per “Mary Poppins”. Al film andò anche il Golden Globe e il BAFTA a Mastroianni che vinse anche il David di Donatello unitamente alla Loren e al produttore Ponti.

Gianni Ridolfi nel film e nel 2011 con la figlia

Nel cast napoletano spicca il ruolo di Aldo Giuffrè, nel duetto milanese si inserisce alla fine Armando Trovajoli, anche e soprattutto autore delle musiche del film, e nell’episodio romano ci sono Tina Pica nella sua ultima interpretazione, e il giovane promettente Gianni Ridolfi come seminarista: una meteora cinematografica che l’anno dopo sarà in “Matrimonio all’italiana” di nuovo col trio De Sica Loren Mastroianni, e poi dopo un terzo film nel 1967, “A suon di lupara” se ne perdono le tracce. Dicono le cronache che è il padre della showgirl Federica e lo si è visto sui giornali nel 2011 al matrimonio di lei, quando ha sposato l’ennesimo calciatore e, purtroppo, anche lei ha avuto una carriera da meteora. Mentre “Ieri, oggi, domani” resta un caposaldo della nostra cinematografia da qualunque punto di vista lo si guardi: Oscar italiani, film a episodi, commedia all’italiana, film di costume, critica sociale, film d’autore, filmografia di De Sica, della Loren, di Mastroianni…

Questo film ebbe apparentemente un seguito nel successivo film a episodi “Oggi, domani, dopodomani” che il produttore Carlo Ponti mise insieme fortunosamente e fece uscire con quel titolo per richiamarsi al successo di un paio di anni prima. In verità aveva prodotto un film del giovane Marco Ferreri, “L’uomo dei cinque palloni” con Mastroianni e Catherine Spaak, ma poiché il film non lo convinceva lo sforbiciò fino a ridurlo a un cortometraggio che impacchettò con altri due di minore qualità diretti all’occasione da Eduardo De Filippo, “L’ora di punta”, e da Luciano Salce “La moglie bionda”, episodio che verrà rispolverato dai suoi sceneggiatori, Castellano e Pipolo, un quindicennio dopo, con poche variazioni ma condito di più esplicita volgarità nel film a episodi “Ricchi, ricchissimi… praticamente in mutande” diretto da Sergio Martino e interpretato da Pippo Franco, Lino Banfi e Renato Pozzetto: ovvero la deriva della commedia all’italiana.

Cape Fear – Il promontorio della paura

Cape Fear - Il promontorio della paura - Film (1991) - MYmovies.it

La violenza, imbrigliata dalla censura nel film del 1962, nel remake di Martin Scorsese del 1992 esplode sfrenata e porta il racconto cinematografico su un altro livello: lo psicopatico di Robert Mitchum che aveva covato vendetta in otto anni di galera e l’aveva in quel tempo raffreddata e affilata, con un Robert De Niro altrettanto sornione e calcolatore la violenza si fa fisica e visibilmente spettacolare.

Ma tutto parte dallo sceneggiatore di film d’azione Wesley Strick che aggiunge alla vecchia sceneggiatura connessioni e conflitti interni che rendono la storia più moderna e dinamica. Sam Bowden non è più solo il testimone che manda in galera Max Cody ma l’avvocato d’ufficio che nasconde una prova a discarico per mandare in galera il poco di buono, venendo meno alla sua deontologia professionale. La famiglia Bowden non è più un rassicurante quadretto borghese ma i coniugi litigano e discutono mentre la figlia quindicenne non è più una bambina innocente ma un’adolescente con gli ormoni in subbuglio che sta scoprendo la sua sessualità, e questo personaggio prende il risalto maggiore con una scena intensa e riuscitissima in cui il lupo ammantato da pecorella tenta la ragazza con illeciti pensieri di libertà ed emancipazione, e a questa ragazza viene affidata la voce fuori campo che introduce il racconto e poi lo conclude dando al film un punto di vista inedito. Altrettanto la moglie non è più la signora borghese dai capelli sempre a posto che lava i piatti ma una professionista in carriera disegnatrice d’interni che mal sopporta il trasferimento in periferia in una villa isolata proprio a Cape Fear, accanto al fiume omonimo dove è ormeggiato il battello di famiglia. Anche la vittima dell’inaudita violenza non è più la prostituta del film originale ma una cancelliera del tribunale dove lavora l’avvocato Bowden e di cui è dichiaratamente innamorata, ma che lui tiene a distanza perché già colpevole in passato di aver tradito la moglie. In sintesi un intrico di rapporti pronti ad esplodere al passaggio del ciclone Max Cody. E la scena finale, il corpo a corpo che fra i due protagonisti avveniva nelle acque basse della palude, qui diventa una scena da film catastrofico con l’imbarcazione in balia delle rapide del fiume in una notte di tempesta: il meglio del meglio che si poteva immaginare in una storia che da thriller freddo e ragionato diventa un film d’azione.

Episode 1: Bridge Of Spies with Steven Spielberg and Martin Scorsese by The  Director's Cut
Martin Scorsese e Steven Spielberg

Inizialmente la regia doveva essere di Steven Spielgberg, che da anni stava lavorando al progetto di “Schlinder’s List” per la regia del quale si era pensato a Martin Scorsese dopo che era fallita la prospettiva di riportare sul set l’ultraottantenne ebreo ashkenazita Billy Wilder, il cui ultimo film era stato, e resterà, la commedia del 1981 con Jack Lemmon e Walter Matthau “Buddy Buddy”. Anche Roman Polański, ateo di origine ebraica che bambino era riuscito a sfuggire dal ghetto di Cracovia durante l’occupazione nazista, si defilò per l’impegno molto personale che il film richiedeva, dedicandosi alla preparazione di un film a suo dire più “leggero”: “Il Pianista”. Tornando a “Cape Fear” Spielberg ritenne il film troppo violento e pur restando nel parterre dei produttori lasciò la regia a Martin Scorsese che dal canto suo aveva rinunciato a “Schindler’s List”: insomma fecero un cordiale scambio fra amici. Poi anche Scorsese, come il precedente regista J. Lee Thompson, omaggerà Hitchcock nello stile delle riprese.

Scrivere per il cinema e la televisione: i 10 consigli di Billy Wilder
Billy Wilder

Inizialmente Scorsese avrebbe voluto Harrison Ford nel ruolo dell’avvocato ma l’attore voleva fare il cattivo, ruolo per il quale Spielberg aveva già contattato Bill Murray: una scelta che all’epoca poteva sembrare bislacca dato che l’attore era un divo di successi comici e brillanti, ma se guardiamo a questa scelta insieme a quella di volere affidare la regia a Billy Wilder si legge chiaramente l’intenzione di voler dare una svolta drammatica a delle carriere spese nel cinema brillante: un salto di steccato che nel caso di Bill Murray abbiamo avuto l’opportunità di apprezzare il seguito, mentre per Billy Wilder non ci furono altre occasioni di tornare sul set: morì dieci anni dopo nel 2002.

Nick Nolte nei panni di un pugile nella serie tv “Il ricco e il povero”, 1976 che gli valse l’Emmy Award

Fu Nick Nolte a proporsi per il ruolo dell’avvocato e a spuntarla. Veniva da una carriera altalenante fra ruoli di protagonista e altri di supporto come caratterista, e questo ruolo gli darà la giusta considerazione e collocazione nello star system hollywoodiano: l’anno dopo sarà chiamato da Barbra Streisand regista e interprete di “Il principe delle maree” a interpretare il tormentato sensibilissimo protagonista che gli regalerà la nomination all’Oscar e la vittoria ai Golden Globe.

Robert De Niro - Cape Fear" T-shirt by FLIXPIX | Redbubble

Va da sé che il ruolo del cattivo sarà dell’attore feticcio di Scorsese, Robert De Niro. Come per il film del 1962 c’è un gap fisico fra i due protagonisti: Nick Nolte che è anche più alto ha dovuto perdere peso, mentre De Niro si è allenato per mettere su massa muscolare e non solo: pagò 5000 dollari a un dentista per farsi limare i denti e avere un aspetto più minaccioso e poi gliene diede altri 20.000 per farseli rimettere a posto, normale prassi per l’attore che per “Toro scatenato” del 1980 sempre Scorsese alla regia, era ingrassato e poi dimagrito di 30 kili.

Juliette Lewis and Jessica Lange

Nel ruolo dell’inquieta moglie moderna Jessica Lange in un ruolo che rimane di servizio nonostante i funzionali e funzionanti aggiornamenti alla sceneggiatura. Per il molto ampliato ruolo della figlia erano state provinate Drew Barrymore e Reese Witherspoon ma ebbe la meglio l’ancora poco nota Juliette Lewis che si assicurerà insieme a De Niro le nomination a Oscar e Golden Globe, vincendo un paio di premi minori e assicurandosi una carriera in cui con “Natural Born Killers” di Oliver Stone due anni dopo riceverà il Premio Pasinetti a Venezia; è stata una delle attrici più promettenti di fine millennio ma poi si è in parte persa per strada e negli anni 2000 intraprende anche la carriera di musicista e cantante – non sapremo mai se come ripiego alla carriera di attrice che langue, o proprio come motivo di questo languire. Illeana Douglas, in quegli anni compagna di Martin Scorsese, è la vittima del maniaco che, al contrario della prostituta del 1962 che scappa, è una legale che decide di non parlare perché conosce dall’interno le trappole del sistema giudiziario e non vuole dare in pasto alla stampa la sua passione non ricambiata per Bowden.

Negli altri ruoli Joe Don Backer nella parte del detective che fu di Telly Savalas; Robert Mitchum, invecchiato e stazzonato, è ancora molto efficace tornando nel ruolo del poliziotto che fu di Martin Balsam, il quale a sua volta passa al ruolo del giudice; Gregory Peck, qui alla sua ultima apparizione cinematografica, morirà 87enne nel 2003, gigioneggia nell’unica breve scena in cui è l’avvocato difensore del criminale.

Robert Mitchum and Gregory Peck who played Max Cady and Sam Bowden in Cape  Fear (1962) have cameos in Martin Scorsese's remake (1991). In a role  reversal of sorts Mitchum plays a


“Il promontorio della paura” restano due bei film, ognuno per la sua epoca, da rivedere possibilmente uno di seguito all’altro, per evidenziarne le differenze e apprezzare il generoso ritorno delle vecchie star in ruoli secondari.