“Grace di Monaco” e di rotocalchi

Non ci sono più i bei filmoni biografici di una volta, come quello sulla vita di Edith Piaf per intenderci, diretto dallo stesso Olivier Dahan che con questo film fa il bis del biopic come pomposamente dicono gli americani. Questo tipo di biografie cinematografiche, che non possono più definirsi tali se per “biografia” si intende il racconto di una vita, scelgono di concentrare il racconto attorno a un momento specifico, vedi “Hitchcock” che parla della messa in opera di “Psycho” o “Marilyn” che s’incentra sulla lavorazione di “Il Principe e la Ballerina”: dunque sono solo capitoli di una biografia. Il lato positivo è che si va più nel dettaglio della vicenda che si è scelto di raccontare e ci si allontana dal pericolo di fare un film superficiale pur di coprire l’intera vita di un personaggio. Aprendo il 64mo Festival di Cannes questo film ha lasciato molti molto perplessi, e a ragion veduta. Racconta un momento cruciale per la vita di Grace che da un lato è tentata dal suo amico Hitchcock che le propone il copione di “Marnie” e dall’altro si trova intrappolata nel suo ruolo di principessa non ancora amata dai monegaschi perché lei stessa non si è veramente calata nel ruolo né resa conto di cosa il ruolo comporti. Coincidentalmente Ranieri di Monaco è in gravissime difficoltà col governo francese presieduto da De Gaulle che vuole annettere il principato alla Francia. Il film dunque ci racconta un passaggio tragico, fatto di intrighi di palazzo e drammi personali, con Grace messa davanti alla scelta della sua vita: diventare davvero “la” principessa e scegliere di salvare il principato e anche il suo matrimonio da favola. Favola che, scopriamo, non è così favolosa come ce l’hanno raccontata i rotocalchi dell’epoca: Ranieri ha sposato Grace Kelly non per amore ma perché al principato serviva una principessa patinata e Padre Tucker (un Frank Langella un po’ sottotono) consigliere spirituale di Grace, rivela d’essere più che un confessore, un vero manipolatore. Intorno poi si muovono figure come Aristotele Onassis che avendo interessi economici nel principato agisce come spregiudicato consigliere politico di Ranieri e la sua compagna Maria Callas relegata al ruolo di onesta confidente di Grace. Insomma, il pacchetto prevede la favola della borghesuccia americana che diventa una vera principessa, come nei sogni delle ragazze d’oltreoceano, dato che gli americani essendo progenie di poveri emigrati europei non hanno principi e principesse in proprio; e poi sfarzo di stucchi ori e specchi, acconciature gioielli e abiti firmati, contorno di personaggi famosi che inevitabilmente figurano come macchiette di lusso, insistiti primi piani sulle lacrime di Nicole Kidman che pare essersi liberata dal fardello del botulino, il clamoroso falso storico dato che la crisi con la Francia era avvenuta anni prima dell’arrivo di Grace a Monaco, tenere scene familiari con i piccoli Alberto e Carolina che si chiedono perché mamma piange, scene da intrigo internazionale e sordide lotte familiari, un Ranieri di Monaco (il sempre ottimo Tim Roth) preoccupato solo del destino del suo principato e che guarda alla sua principessa solo come una sfavillante acquisizione mentre Grace si lacera l’anima per capire cosa vuole da lei la vita: un’intelligente sequenza a inizio film ce la mostra disperata alla spericolata guida della sua macchina sportiva sui tornanti del principato con mancato incidente, lanciando per noi un’occhiata sul futuro incidente in cui realmente Grace di Monaco perderà la vita. Il film nell’insieme è gradevole e scorre bene anche se la sensazione è quella di una versione cinematografica dei rotocalchi d’epoca ma con l’aggiornamento di uno sguardo sul lato oscuro. Comprimari di lusso: Roger Ashton-Griffiths come credibile Alfred Hitchcock, Robert Lindsay come Aristotele Onassis e Paz Vega come Maria Callas alla quale non  mancano di far cantare l’aria famosa, Derek Jacobi come divertito e compiaciuto maestro cerimoniere, Parker Posey come gelida e intrigante segretaria di palazzo. In conclusione: un film che può rilanciare la carriera appannata di Nicole Kidman e che potrebbe farle raccogliere qualche candidatura a qualche premio qua e là, ma che rimane un film da pomeriggio con le amiche pensionate che da giovani sognavano sulla Grace patinata, o da serata da pensionati a casa davanti alla tivvù con un buon bicchiere di vino.

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